Brizzi-Plutarco e i fondamenti “classici” della potenza militare americana

a cura di Gianluca Vivacqua

Plutarcheo è lo schema costruito per accostare due personaggi storici di epoche diverse in base a determinati parametri. Il plutarchema prevede due fasi: la sizzigia, che è l’accostamento biografico vero e proprio e la sincrisi, il giudizio comparato finale. Quando si domanda a un esperto di paragonare due figure nella storia appartenenti a contesti temporali per nulla imparentati fra loro gli si si chiede in effetti un lavoro d’analisi per trovare gli aspetti che giustifichino una relazione tra i due “elementi” sul tavolo e poi una sintesi sulla base dell’eventuale minimo comune denominatore venuto a emergere. A questa duplice procedura di derivazione plutarchea non può sottrarsi neppure Giovanni Brizzi, professore emerito di Storia romana all’università di Bologna, uno dei massimi esperti di storia militare greco-romana. Ed è proprio sul terreno della storia militare che gli chiediamo di seguirci nel nostro esperimento plutarcheo: l’accostamento tra potenza militare romana e potenza militare americana. A onor del vero, va detto che questo è l’ultimo (il più conforme a quello che, bene o male, continua a essere l’attuale quadro egemonico mondiale) di una serie di tentativi di accostamento al mito della vis militaris romana che nel corso dei secoli ci si è esercitati a fare. Translatio imperii a parte, naturalmente: i cultori di tale teoria calcoleranno in effetti che Washington rappresenta la quarta Roma, dopo l’Urbs originale, Bisanzio-Costantinopoli e Mosca.

– Professore, cosa pensa del fatto che, praticamente dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, l’egemonia politico-militare Usa viene quasi sempre paragonata a quella romana?
“In entrambi i contesti direi che la parola chiave è soft power: quello romano è caratterizzato da un elemento concreto unificante, lo ius, che completa la conquista militare; quello americano da una visione, la democrazia, che diventa la missione nel mondo degli Usa. C’è però da dire che, nati da una rivoluzione che ne ha fatto sin dalle origini uno dei Paesi più democraticamente avanzati, gli Stati Uniti si sono poi sviluppati, economicamente e anche militarmente, come potenza industriale. Un concetto che, per forza di cose, è assolutamente estraneo all’evoluzione della civiltà romana”.

– Quali sono secondo lei le caratteristiche che contraddistinguono il generale antico (nella fattispecie quello romano) e lo differenziano dal generale delle altre epoche (per esempio quello americano del ‘900)?
“Il generale antico vive con i suoi uomini, e sa di dover e poter contare sugli uomini negli scontri decisivi, pur non essendo del tutto sprovvisto di macchine. Il generale moderno è invece figlio della guerra moderna, estremamente meccanizzata e tecnologizzata, dove la macchina prevale sull’uomo. La differenza è quella tra guerra umana, fatta di scontri fisici, e guerra meccanica, fatta di calcoli balistici e mappature di obiettivi da colpire a distanza. Naturalmente non bisogna dimenticare che nel corso del tempo mutano anche le dimensioni degli eserciti. Il generale di oggi è più simile a una sorta di dirigente in capo che a un condottiero, laddove per condottiero intendiamo anche e soprattutto un artefice della trasformazione duttile del corpo combattente di cui è responsabile in base alle caratteristiche dell’avversario da fronteggiare o del territorio in cui operare. Exempli gratia Scipione l’Africano”.

– Tenuto conto di tutti questi aspetti, azzardiamo comunque qualche parallelo?
“A proposito di generali che si trasformano in grandi uomini di scrivania (potremmo chiamarli “stratiocrati”, ndr) la prima figura che mi viene in mente, restando in ambito americano, è quella di Eisenhower, in cui potrei forse scorgere qualcosa di Pompeo, che considero tra i generali migliori della classicità in termini di organizzazione a tavolino. Mi sembra scontato un paragone tra MacArthur ed Agrippa, ma giochiamo pure. E Grant è prima di tutto il vincitore di una guerra civile, quindi forse ha più di un equivalente”.

– E quanto alla coppia Varo-Custer?
“L’epilogo può sembrare analogo perché entrambi furono sorpresi dal nemico: quella di Custer, però, fu un’imprudenza, Varo invece davvero non aveva idea del destino cui andava incontro”.