Bulgaria. Radev annuncia l’adesione al Black Sea Energy Corridor

di Giuseppe Gagliano

Intervenendo alla COP29 in corso a Baku, il presidente della Bulgaria Rumen Radev ha annunciato l’adesione al progetto del Black Sea Energy Corridor. Si tratta di un passo significativo che potrebbe avere un impatto duraturo sul panorama energetico europeo, in un momento in cui l’Unione Europea cerca di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dal gas russo. La scelta di creare un corridoio energetico che trasferisca l’elettricità prodotta in Azerbaigian e Georgia verso l’Europa attraverso una linea sottomarina nel Mar Nero fino alla Romania, e successivamente verso Ungheria e Slovacchia, rappresenta una strategia chiave per garantire la sicurezza energetica della regione, soprattutto in un contesto geopolitico dominato dalle tensioni tra Russia e Occidente.
Dal punto di vista politico questa iniziativa rafforza i legami tra Bulgaria e i Paesi dell’Europa orientale, tra cui Grecia e Romania, con cui Sofia collabora anche per lo sviluppo del Corridoio del Gas Verticale. Questa alleanza energetica, che include anche Moldova e Slovacchia, mira a creare un’infrastruttura che colleghi le risorse energetiche del Sud Europa con il resto del continente, promuovendo al contempo l’indipendenza dalle forniture energetiche russe. La partecipazione della Bulgaria al progetto del corridoio energetico non si limita però al solo trasporto di energia elettrica. Il Paese sta investendo anche nell’energia nucleare, come dimostrato dalla costruzione di nuovi reattori presso la centrale nucleare di Kozloduy, in collaborazione con il consorzio formato da Westinghouse e Hyundai. Questo progetto da 350 milioni di dollari non solo migliorerà la sicurezza energetica della Bulgaria, ma contribuirà anche alla sua transizione verso la neutralità climatica, un obiettivo che il governo bulgaro si è posto per allinearsi alle direttive dell’Unione Europea.
Tuttavia questo piano ambizioso non è privo di ostacoli. Sul fronte interno la politica energetica bulgara è minacciata dalle resistenze dei partiti pro-russi e populisti che vedono nella chiusura delle centrali a carbone una perdita economica per il Paese. Infatti, la transizione verso energie più pulite non è vista di buon occhio da tutti i settori della società, specialmente quelli che dipendono ancora dal carbone per la loro sopravvivenza economica. Ciò ha portato a un dibattito acceso in Parlamento e tra l’opinione pubblica, con il rischio di rallentare l’adozione delle riforme necessarie per una vera decarbonizzazione. La questione energetica, dunque, non è solo un problema di infrastrutture, ma anche una sfida politica che potrebbe influenzare la stabilità del governo di Sofia nei prossimi anni. Economicamente, la Bulgaria sta cercando di posizionarsi come un hub energetico strategico nel sud-est Europa, approfittando della sua posizione geografica come crocevia tra Est e Ovest. Le partnership con Stati Uniti e Corea del Sud per lo sviluppo nucleare, oltre che con Grecia e Azerbaigian per il trasporto di gas e elettricità, indicano una chiara volontà di diversificazione delle fonti energetiche.
Restano le incognite legate alla capacità del Paese di attrarre i necessari investimenti stranieri e di gestire le pressioni interne, in particolare quelle legate alla dismissione delle centrali a carbone. In conclusione, la scelta della Bulgaria di aderire al Black Sea Energy Corridor e di espandere la propria capacità nucleare rappresenta un tentativo strategico di posizionarsi come leader nella transizione energetica in Europa orientale. Tuttavia, questa transizione presenta sfide significative che richiederanno non solo investimenti economici, ma anche un delicato equilibrio politico per garantire che il Paese possa realizzare i propri obiettivi climatici senza compromettere la propria stabilità economica e sociale.