Burkina Faso. Il fantasma del golpe aleggia di nuovo: arrestati ufficiali dell’esercito tra silenzi e sospetti

di Giuseppe Gagliano –

Nel cuore polveroso dell’Africa occidentale, dove i regimi cambiano più in fretta delle stagioni e la democrazia resta una promessa instabile, il Burkina Faso si ritrova ancora una volta a convivere con l’ombra lunga del colpo di Stato. Secondo quanto riportato da Radio France Internationale (RFI), la scorsa settimana ha visto l’arresto di diversi ufficiali dell’esercito, tra cui due comandanti sollevati dai loro incarichi senza alcuna comunicazione ufficiale. Una dinamica che, nei Paesi a guida militare, parla da sé.
Nel silenzio del potere centrale, hanno preso voce i sostenitori della giunta del capitano Ibrahim Traoré. A loro dire, si tratterebbe dell’ennesimo tentativo di destabilizzazione orchestrato da “militari in esilio”, figure che evocano più lo scenario da faida interna che una reale insurrezione. Ma il messaggio implicito è chiaro: la minaccia viene dall’interno del sistema militare stesso, da quella rete opaca di ufficiali che si muove tra fedeltà apparente e ambizioni latenti.
La parabola di Ibrahim Traoré, giovane capitano salito al potere con un colpo di Stato nell’ottobre 2022, è emblematica della fragilità endemica delle giunte africane nate dalla forza. I regimi militari vivono spesso nella trappola del proprio metodo: se il potere si prende con le armi, con le armi si può anche perdere. Da qui l’incessante timore di essere scalzati, il sospetto verso ogni comandante troppo popolare, ogni guarnigione troppo autonoma.
Gli arresti recenti, privi di spiegazioni ufficiali, sembrano suggerire proprio questo: una guerra fredda interna, un gioco d’equilibri tra leali e potenziali traditori. Le epurazioni silenziose diventano una strategia di sopravvivenza politica. E nel vuoto di trasparenza, ogni decisione si ammanta di congetture: punizione preventiva? Tradimento vero? O paranoia di regime?
Traoré si è presentato al popolo come il “liberatore” dalla minaccia jihadista, promettendo sicurezza e sovranità. Ma la realtà è più complessa: le offensive jihadiste continuano a mietere vittime, le aree rurali restano fuori controllo, e la popolazione è stremata dalla guerra e dalla povertà. In questo contesto, ogni tensione interna all’esercito rischia di trasformarsi in miccia per nuove esplosioni.
L’isolamento diplomatico non aiuta. Dopo aver rotto progressivamente con Francia ed Europa, il Burkina Faso ha cercato sponde in Russia e nel blocco Saheliano formato con Mali e Niger. Ma l’appoggio russo, per quanto utile nella retorica sovranista, non garantisce né stabilità istituzionale né sviluppo economico. E il rischio è che, mentre il potere si difende da nemici interni, lo Stato collassi per mancanza di direzione.
Il Burkina Faso sembra imprigionato in un ciclo infinito: golpe, giunta, instabilità, nuove accuse di tradimento. L’arresto di ufficiali senza processo né spiegazione rappresenta un ulteriore passo nella trasformazione del potere in paranoia. Eppure, finché la legittimità politica sarà sostituita dal controllo militare, questi episodi non faranno che ripetersi.
A Traoré e alla sua giunta resta una scelta difficile ma inevitabile: continuare sulla strada dell’autoritarismo difensivo, con il rischio di un nuovo collasso, oppure aprirsi a un processo reale di legittimazione popolare. Per ora, il silenzio del regime sembra dare risposta alla rovescia.