di Francesco Giappichini –
Il 5 agosto sono stati aperti i cantieri del Canale Funan Techo, in Cambogia. E si è riacceso il dibattito tra gli analisti sulle conseguenze dell’infrastruttura che collegherà Phnom Penh al Golfo del Siam. Grazie all’opera, la cui conclusione è prevista nel 2028, le imbarcazioni provenienti dalla capitale non saranno più obbligate ad attraversare il territorio del Vietnam, e attraccare nei suoi porti. Sullo sfondo di ogni analisi la rivalità strategica tra Cina e Stati Uniti, e il ruolo in quell’area della Nuova via della seta (Belt and road initiative – Bri): l’iniziativa economica e commerciale della Cina, il cui governo ha finanziato il progetto. La somma investita per il “Prek Chek Funan Techo project”, stimata in un miliardo e 700 milioni di dollari, proviene infatti interamente dalle casse del China road and bridge corporation (Crbc), il colosso delle costruzioni controllato dall’esecutivo di Pechino.
Il progetto sarà sviluppato nel quadro di un contratto di Costruzione – amministrazione – trasferimento (Bot – Build operate and transfer): l’investitore straniero realizza l’opera a proprie spese, quindi la prende in concessione per un periodo di tempo; poi alla scadenza proprietà e diritti di sfruttamento sono trasferiti all’autorità territoriale. Alla base dei vari studi, che qui sintetizziamo, emerge l’importanza, se non l’imprescindibilità, che il Canale rivestirà sia per i cambogiani, sia per gli alleati (e finanziatori) cinesi. E poi si cercano di analizzare le preoccupazioni economiche, strategiche e ambientali sia del Vietnam, sia di un occidente che vede nella Cina il rivale strategico.
Prima però un paio di premesse. In primis, si tratta di un’infrastruttura gigantesca, in rapporto alle dimensioni della Nazione: con una lunghezza di 180 chilometri, una larghezza di 100 metri e una profondità di 5,4, collegherà il porto di Phnom Penh sul Mekong, a quello di Kep sul Golfo della Thailandia, anche fondendosi col fiume Bassac. In secondo luogo è innegabile, per Phnom Penh, il guadagno in termini di indipendenza logistica: il tragitto dalla Capitale khmer ai porti di Kampot e Sihanoukville sarà molto più agevole, rispetto al percorso odierno. Andiamo però con ordine, iniziando dal fronte sino-cambogiano. Nell’ottica dell’autocrazia nepotista khmer, il Canale Funan Techo è essenziale soprattutto sotto il profilo politico.
La narrazione lo ricollega all’orgoglio nazionale e alla sovranità, e ne fa un tributo alla casta al potere. Basti pensare al nome: se il termine Funan richiama l’antico regno che fu precursore dell’Impero Khmer, Techo è uno dei titoli onorifici dell’ex primo ministro e attuale presidente del Senato, Hun Sen; che non è solo padre della patria, ma anche del premier Hun Manet. Insomma l’opera deve servire sia come risarcimento per la perdita del Delta del Mekong, in seguito al processo di decolonizzazione, sia soprattutto a legittimare Manet e consolidare il suo potere; ma la simbologia non è finita e il 5 agosto, data d’inaugurazione dei lavori, coincide anche col compleanno di Hun Sen.
Il quale sul tema ha dichiarato: «Non farò marcia indietro e voglio sottolineare francamente che non c’è bisogno di negoziare». Passando alla rilevanza militare del progetto, si nota una sostanziale convergenza tra gli esperti. Sì, alcuni di loro hanno rilevato che è anch’esso espressione del neocolonialismo cinese, specie alla luce della rivalità sino-vietnamita, e che può favorire la nascita di nuove installazioni militari controllate di fatto da Pechino. Tuttavia prevale l’idea che il canale, da sé solo, non rappresenti alcuna minaccia per la sicurezza del Vietnam, non avendo le caratteristiche per supportare operazioni militari su larga scala. È invece pacifico che il canale sarà un’importante opportunità economica, anche al di là dell’indipendenza dagli snodi vietnamiti.
Grazie a un suo sistema di trasporto fluviale, la Cambogia vedrà favoriti i commerci, si creeranno 50mila posti di lavoro, si stimolerà il turismo lungo il percorso dell’opera. Del resto quest’industria è in crescita, e come numero di ingressi si confida di tornare ai livelli pre-pandemia entro la fine dell’alta stagione (marzo ’25). Al contrario, si registrano criticità sul fronte manifatturiero, si pensi al drastico calo dell’export di biciclette. Altri esperti, da diversa angolazione, fanno notare che il Canale Funan Techo non produrrà vantaggi mirabolanti, sotto il mero profilo della navigazione. Se non altro perché sarà navigabile solo da imbarcazioni di stazza inferiore.
E tuttavia non si nega che il progetto sia essenziale per la modernizzazione (mineraria, agricola e industriale) della Cambogia meridionale: l’area ove si trova non solo la Base navale di Ream, parzialmente controllata dal Dragone, ma anche le enclavi economiche cinesi. Passando al capitolo dell’importanza strategica del Canale, la gran parte degli analisti rileva che l’opera non è essenziale in quanto tale, ma solo nel quadro dell’alleanza strutturale con la Cina. Una partnership che tra l’altro punta a trasformare la Cambogia in una delle dieci maggiori potenze agricole mondiali, entro il 2030. Una simile lettura pone l’accento sulla Base di Ream: Phnom Penh nega che la struttura fungerà da base cinese; ma le immagini satellitari hanno rivelato che due navi della Marina dell’esercito popolare vi sono rimaste attraccate per oltre cinque mesi, da dicembre ’23 a maggio.
Più esplicito un reportage del “Wall street journal”: la Base sarebbe già «divisa in due», con un settore controllato dalla Marina locale, e un altro da quella cinese. Sotto questo profilo, le conclusioni sono dunque quasi unanimi: l’alleanza con la Cina – che poggia su influenza diplomatica, soft power, programmi di aiuti, zone economiche speciali, progetti infrastrutturali (modernizzazione della Base di Ream, autostrade, lo stesso Canale Funan Techo) – è essenziale per la base sociale su cui poggia l’élite dominante. E non è tutto, poiché l’alleanza è destinata a evolvere. Pechino, bisognosa di avamposti all’estero a basso costo, punterebbe a convertire la Cambogia ai propri valori, come si è soliti sintetizzare con un’espressione un po’ naïf. Un po’ come, si fa notare, avrebbero fatto gli Stati Uniti col Giappone. Passando alle inquietudini di Vietnam e occidente (e tralasciando l’aspetto strategico, già descritto), spiccano quelle ambientali ed economiche. Le prime riguardano i possibili effetti negativi sull’ecosistema del Mekong, dalla biodiversità alla qualità delle acque. Soprattutto però si teme che i cambogiani possano parzialmente deviare le acque (che scorrono verso il Delta del Mekong in Vietnam), verso gli estuari costieri. Sarebbe così a rischio la sicurezza alimentare e idrica del Paese confinante, influenzandone le strategie. E c’è chi teme uno scenario ancor peggiore: se il Canale fosse usato per l’irrigazione durante la stagione secca, in questo periodo i sistemi irrigui potrebbero dirottare sino al 50% delle acque del Bassac.