CEDU. Negare il suicidio assistito non viola i diritti del malato

di Mariarita Cupersito –

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che negare il suicidio assistito a un paziente che ne faccia richiesta in uno Stato dove tale pratica è vietata dalla legge non viola i diritti della persona malata, purché sia garantito l’accesso a idonee cure palliative.
Il caso su cui hanno deliberato i giudici di Strasburgo concerne il ricorso presentato da un uomo ungherese affetto da sclerosi laterale amiotrofica già avanzata, il quale, come riporta la sintesi diffusa dalla Corte, “vorrebbe poter decidere quando e come morire prima che la sua malattia raggiunga uno stadio che egli trovi intollerabile”.
In Ungheria il suicidio assistito è vietato dalla legge e chiunque prestasse assistenza a una persona a tal fine potrebbe essere perseguito penalmente, “anche se la persona morisse in un Paese dove il suicidio medicalmente assistito fosse permesso”, precisa la nota della Corte.
I giudici sottolineano la presenza di implicazioni sociali molto vaste nonché il concreto rischio di errori e abusi nella pratica della morte medicalmente assistita, puntualizzando che “nonostante una tendenza crescente verso la sua legalizzazione, la maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa continua a proibire sia il suicidio medicalmente assistito che l’eutanasia”.
Gli Stati hanno dunque “un ampio margine di discrezionalità in questo ambito” e la Corte ha ritenuto che le autorità ungheresi non abbiano fallito nella ricerca di un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, non oltrepassando tale discrezionalità. 
I giudici affermano al contempo che i Paesi dovranno tener presente la necessità di modificare la legge, al fine di allineare gli ordinamenti giuridici nazionali non solo ai cambiamenti del comune sentire ma anche agli standard internazionali di etica medica in tale settore.
La Corte di Strasburgo ritiene inoltre che le cure palliative di elevata qualità, incluso l’accesso a un’efficace gestione del dolore, siano fondamentali per garantire una fine della vita dignitosa. Secondo gli esperti consultati dai giudici di Strasburgo, le cure palliative sono infatti generalmente in grado di dare sollievo ai malati che si trovino nella stessa situazione in cui versa l’uomo ungherese che ha presentato ricorso. Quest’ultimo, evidenziano infine i giudici, non ha affermato che le suddette cure non fossero state disponibili per lui.