Cina. Congresso del Popolo: ‘ci riprenderemo Taiwan’. Xi pronto per il terzo mandato, punta allo ‘sviluppo qualitativo’

di Guido Keller

Con la consueta scenografia curatissima e le voci dissonanti messe a tacere magari con l’accusa di corruzione, è in corso in Cina il XX Congresso del Partito Comunista, che a breve dovrebbe affidare al presidente XI Jinping il terzo mandato.
Nel suo discorso di apertura il leader cinese ha parlato del Pil raddoppiato in un decennio, del proposito di rendere la Cina un moderno paese socialista, dei successi nella lotta alla corruzione e alla pandemia di coronavirus.
La realtà della Cina non è tuttavia l’eldorado che dipinge Xi, basti pensare che del socialismo è rimasto solo il proposito, ai dati ufficiali sulla pandemia non ci crede nessuno e che l’economia ha subito negli ultimi anni un forte rallentamento, rendendola di fatto in affanno con una crescita di solo il 3,2% del Pil. Un dato che fa tremare le fondamenta del paese, al quale Xi intende rispondere con il più assoluto controllo del partito.
A tal proposito il presidente cinese ha insistito sul fatto che se fino ad oggi si è puntato su una crescita veloce ma senza qualità, con la prossima legislatura si vorrà puntare su uno sviluppo più lento ma più qualitativo,
Xi ha ribadito che la Cina non rinuncerà all’annessione di Taiwan, se serve anche con la forza: la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina si considerano a vicenda secessioniste fin dal 1949, ma anche se Taiwan non ha praticamente un riconoscimento internazionale (se non da una manciata di micro-stati), è protetta militarmente dagli Stati Uniti, e difficilmente Xi accetterà di rompere i rapporti commerciali con l’occidente per sottomettere l’isola ribelle. Più facile che mantenga lo status quo.
Già nel luglio 2019 è stato inserito nel Libro Bianco, una sorta di programma del partito aggiornato con cadenza non regolare, l’impegno del governo centrale cinese ad annettere la Repubblica di Cina, cioè Taiwan: l’entrata della Cina nelle Nazioni Unite, nel 1971 ha comportato il disconoscimento di Taiwan da parte di quasi tutti i paesi membri, Usa e Italia compresi.
Il rapporto ha impostato la questione dei separatismi in chiave difensiva e messo come possibile il contrattacco, cosa che ne autorizzerebbe nella logica di Pechino l’impiego della forza.
Nel frattempo gli Usa hanno armato Taiwan fino ai denti per svariati miliardi di dollari, tra cui centinaia di missili Stinger “al fine di affrontare minacce attuali e future”.
Di certo non ha giovato la visita dello scorso agosto a Taipei della speaker del Congresso statunitense Nancy Pelosi, cosa che ha provocato reazioni durissime e soprattutto imponenti esercitazioni militari cinesi. E neppure la continua presenza di portaerei statunitensi nell’area, che Pechino vede come propria.
Il presidente cinese ha parlato anche di Hong Kong, spiegando che avendo conseguito la stabilità della situazione politica, sarà ora possibile tornare al progetto del “un paese, due sistemi”.