Cina. Arrestato il vescovo Weizhu: la questione della libertà religiosa

di Marco Corno *

La notizia dell’arresto di qualche giorno fa del vescovo Zhang Weizhu e di altri sacerdoti e seminaristi riporta in primo piano nel dibattito sino-vaticano la vexata quaestio delle libertà religiosa e di culto in Cina, oggetto di confronto e scontro tra Roma e Pechino.
Benché l’arresto dei prelati risulti essere un fatto episodico che non fermerà l’avvicinamento tra il Vaticano e la Cina, esso ha un grande valore politico-culturale perché constata come una parte delle istituzioni cattoliche cinesi e delle sue comunità vivano ancora in un contesto di semi-clandestinità, la cui incontrollabilità è un assillo per un regime ex cathedra come quello cinese, istituito ed organizzato su uno stretto controllo del territorio e su un forte accentramento dei poteri.

La riforma costituzionale voluta da Deng Xiaoping nel 1982 all’art.36 riconobbe la libertà religiosa come rito da praticare unicamente in forma privata. Ma nel corso degli anni ‘80 e ‘90 il problema delineatosi fu principalmente di carattere istituzionale a causa di una divisione sui generis interna alla Chiesa cattolica cinese tra una Chiesa cattolica patriottica cinese (riconosciuta e amministrata dal governo di Pechino tramite l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi), che riconosce nel Pontefice unicamente un’autorità spirituale, e una Chiesa cattolica clandestina fedele a Roma sia dal punto di vista spirituale che politico-istituzionale.
Tale divisione ha avuto effetti sulla libertà di culto delle comunità cattoliche clandestine i cui riti e cerimonie religiose a differenza dei cattolici patriottici non sono tollerati anche se sono i medesimi.

L’accordo del 2018 tra Santa Sede e Cina è puramente diplomatico ed istituzionale e non regola i rapporti delle comunità clandestine con il Governo di Pechino, sebbene prima della stipula del trattato il Vaticano abbia chiesto maggior apertura nei confronti della Chiesa clandestina.
Papa Bergoglio è determinato ad implementare l’accordo allargandolo anche ai diritti religiosi dei cristiani cinesi nei prossimi anni. Il Pontefice è cosciente che la riconciliazione dell’intera comunità cattolica che conta 16 milioni di fedeli è la condicio sin qua non per l’apertura di piene relazioni diplomatiche che potrà avvenire solo quando la Curia Romana sarà riuscita ad accordarsi con Beijing per lo status giuridico e religioso dei cittadini cinesi cattolici, ponendo fine alle fratture interne alla comunità e garantendole un futuro di prosperità e pace.

Il presidente cinese Xi Jinping.
Un simile risultato sarebbe un “Grande Balzo in Avanti” che permetterebbe di risolvere ex lege anche il problema delle diocesi ecclesiastiche cinesi sempre in un “limbo” tra illegalità e legalità.
L’arresto di Zhang Weizhu è seguito, e forse non casualmente, alla nomina del gesuita Stephen Chow a vescovo di Hong Kong. La nomina di Chow avviene in un momento delicato per la città di Hong Kong, sempre più importante negli equilibri interni della Cina non solo a causa delle proteste ma anche per la definitiva “fagocitazione” dell’ex colonia britannica da parte del Celeste Impero.

La nomina di monsignor Chow, simbolo di stabilità in una delle aree più calde del sud-est asiatico, è un messaggio di collaborazione che la Santa Sede invia alla Cina affermando la volontà della Chiesa Cattolica di voler essere protagonista nelle vicende interne cinesi ma in modo propositivo con il fine unico di garantire la stabilità e la pace.
L’arresto di Zhang Weizhu è un fenomeno altisonante del complicato rebus quadripolare formato da Santa Sede-Cina-Chiesa Patriottica-Chiesa Clandestina, una sfida importante per tutti gli attori coinvolti ma che lentamente e costantemente continua a progredire verso un “entente cordiale” di cui questo spiacevole evento è il riflesso di un cliché a cui tutte le parti coinvolte vogliono trovare una soluzione definitiva.

* Esperto di geopolitica.