Cina e Venezuela cause del collasso del Trattato inf

di Giovanni Caprara

Gli Stati Uniti avevano mostrato di non voler confermare gli accordi siglati sulla proliferazione delle armi con la Russia già da diversi anni e da altrettante amministrazioni. In particolare quando decisero di uscire unilateralmente dal trattato ABM del maggio 1972, per limitare le difese antimissile.
Di fatto l’abbandono dell’INF (Intermediate-range nuclear forces) non sorprende moltissimo, soprattutto nel nuovo contesto geopolitico. Questi era la limitazione dei vettori nucleari a medio raggio, Intermediate Range Nuclear Force, che eliminò dallo scacchiere europeo i Pershing II e BGM-109G statunitensi e gli SS-20 e SS-4 russi. I motivi per i quali il trattato INF è stato obliato dagli USA è nel nuovo sistema d’arma SSC-8 che il Cremlino ha in fase di test già dal 2000. Il nuovo vettore è derivato dal missile navale Kalibir, lanciato nella campagna di Siria contro postazioni jihadiste e del DAESH da unità di superficie e sommerse russe. L’oggetto del contendere è nella sua gittata: per il Cremlino è 450 chilometri, per la NATO è superiore ai 500 chilometri, ossia nel raggio di azione vietato dall’INF che bandiva i vettori da 500 a 5.500 chilometri. La scelta di eliminare questo tipo di missili, voluta da Reagan e Gorbachev nel 1987, era nel ridotto tempo di volo che impiegavano questi razzi a raggiungere l’obiettivo, riducendo, pertanto, la capacità di analisi, preavviso e reazione dell’avversario.
Come sempre accade in queste dispute la controparte, oltre a negare qualsiasi addebito, sostiene che è il contendente il primo colpevole. In questo caso è il sistema d’arma Aegis Ashore, la versione terrestre del sistema antibalistico imbarcato sulle unità di superficie della US Navy.
Questi è stato originariamente progettato come apparato difensivo, ma nei suoi moduli di lancio verticali MK 41, al posto dei missili anti missile SM-3, potrebbe essere alloggiato il temibile Tomahawk TLAM-N, ossia un cruise con testata nucleare, che presto verrà imbarcato sulle unità da guerra statunitensi. L’Aegis Ashore è dislocato nella base di Daveselu in Romania, con 24 lanciatori e ne sarà dotata anche l’installazione Redzikowo in Polonia. La scelta delle due nazioni ex Patto di Varsavia non è una provocazione gratuita, perché gli SM-3 sono più precisi se lanciati verso un vettore in fase ascendente, quando i reattori per la spinta verticale sono alla massima potenza e lasciano una scia termica facilmente tracciabile dal sistema antibalistico. L’Aegis è inquadrato nella dottrina National Missile Defence e successivamente nella Ballistic Missile Defence, un ambizioso programma atto a rendere invulnerabili gli asset strategici della NATO e le grandi città statunitensi. Un indirizzo strategico perseguito da Reagan fino a Trump, ossia lo scudo antimissile che passa dai vettori Patriot, al THAAD, all’Iron Dome sino all’Aegis in funzione anti iraniana e Corea del Nord, ma ora principalmente russa. L’SSC-8, noto come Kalibir, ha una velocità di crociera stimata a circa 900 chilometri orari, ma la sua peculiarità è quella di raggiungere, in fase finale di avvicinamento all’obiettivo, la velocità di 3000 chilometri orari a 20 metri dal suolo, questo vuol dire sotto la soglia di rilevamento dei radar ostili di ricerca e tracciamento. Come per il Tomahawk, anche il Kalibir può essere lanciato da rampe convertite: in questo caso sono quelle autocarrate del sistema Isklander. Fondamentalmente i due sistemi d’arma sono estremamente pericolosi in quanto possono raggiungere l’obiettivo in un lasso di tempo che non consente una adeguata analisi: ossia se il lancio è avvenuto effettivamente o si tratta di una errata rilevazione.
In realtà, però, l’uscita unilaterale statunitense dall’INF, potrebbe celare altre finalità.
Da sempre gli Stati Uniti desiderano l’estensione dell’accordo alla Cina, la quale ha più volte declinato l’invito. Questi ultimi hanno un considerevole numero di vettori regionali puntati verso le basi statunitensi nel Pacifico, nell’isola di Guam, nel Giappone e naturalmente, contro i gruppi da battaglia navali in navigazione nei mari cinesi. Pertanto, l’uscita dal trattato potrebbe valere la necessità di sviluppare liberamente nuovi sistemi d’arma in contrapposizione a quelli cinesi. In particolare il DF-26 con un raggio di 3500 chilometri e il DF-17 con 2000 chilometri. Sembrano essere molto precisi e dotati da un veicolo di rientro ipersonico facilmente manovrabile e simile ad un aliante. Questi possono essere inquadrati nel concetto Global Strike. Altra ipotesi sostenibile è che gli Stati Uniti vogliano coinvolgere la Russia nel costringere la Cina a rinunciare a schierare questi missili e limitarne lo sviluppo, ma questa tattica si ritorcerebbe contro le nazioni NATO, le quali si dovrebbero adeguare a questo nuovo ordine. Perciò, gli USA tentano di rafforzare l’opzione nucleare contro le ogive cinesi antinave con gli ICBM e gli SLBM lanciati dai sommergibili classe Ohio, ma soprattutto con i Tomahawk SLCM, ossia i cruise con testaste di guerra atomica espulsi dalle unità sommerse. Il diniego cinese ad aderire ad un eventuale nuovo INF, è comunque un risultato apprezzabile dall’Amministrazione statunitense, libera di mettere a punto nuove armi nucleari atte a mantenere la supremazia sui due avversari limitandone la supremazia regionale. Un’altra possibilità che consenta di capire l’abbandono statunitense dell’INF, potrebbe essere quella di tentare di dissuadere la Russia nell’appoggiare Maduro nella crisi Venezuelana. Caracas ha da sempre ospitato sistemi d’arma del Cremlino sul suo territorio, non ultimi i due Tupolev TU-160 che si sono addestrati nel dicembre scorso nei cieli venezuelani. I due bombardieri strategici sono in grado di trasportare missili nucleari, ma la prova di forza si è concretizzata nell’area scelta per la missione addestrativa: i Caraibi, troppo vicini al confine con gli Stati Uniti. Dunque il Venezuela altri non è che una base di deterrenza russa, similmente a Cuba negli anni sessanta. Il contrasto fra occidente ed oriente sulla questione venezuelana si estende non solo ad un cambio di politica interna, ma ad una nuova crisi simile a quella degli euromissili e la fine del trattato New START in scadenza nel 2021. Questo si traduce nell’implementazione del nucleare anche verso le testate a potenza ridotta, quelle utilizzabili in crisi regionali. Un concetto sostenuto dal Stati Uniti, i quali però al momento hanno un formidabile nemico da contrastare: il vettore Sarmat con il modulo di rientro manovrabile ipersonico Avangard dotato di una testata di guerra pari ad un megatone, che picchia verso il suolo dallo spazio suborbitale a Mach 27. Contro questo sistema d’arma non esiste difesa se non la ritorsione nucleare. Motivo per il quale la NATO sta spostando i suoi confini sempre più ad Est con le basi IRBM e BMD in Polonia e nei paesi baltici.
Una probabile reazione al collasso del trattato potrebbe averla fornita la Francia. Unico paese della UE con armi nucleari dopo la Brexit, ha compiuto una esercitazione di un attacco atomico simulato con il missile stand-off aerolanciato ASMP-A. Una dimostrazione di credibilità del potere aereo con deterrenza nucleare. Un caccia bombardiere Rafale della squadriglia “La Fayette” decollato dalla Base 113 di Saint Dizier, ha volato per 11 ore eseguendo tutte le fasi di una missione di questo tipo: rifornimento in volo con le aerocisterne C-135 e A330, volo ad alta e bassa quota seguendo il profilo del terreno in prossimità del bersaglio, e lancio del vettore nel poligono di Biscarrosse. La Francia dispone di circa 60 testate per l’ASMP-A, un missile che raggiunge i Mach-3 e con un raggio di azione che supererebbe i 500 Km in grado di trasportare una testata di guerra di 300 kilotoni. Il velivolo Rafale è anche nella versione imbarcata sulla portaerei Charles De Gaulle per affermare la proiezione di forza francese e completa la dissuasione nucleare esercitata dai 4 SSBN della Marina.