Cisgiordania. KLP cede 16 società collegate agli insediamenti israeliani nei territori occupati

di Alberto Galvi

Il fondo sovrano norvegese KLP (Kommunal Landspensjonskasse) ha annunciato di aver ceduto 16 società di cui deteneva il controllo per i loro collegamenti con gli insediamenti israeliani nei territori occupati in Cisgiordania. KLP gestisce circa 80 miliardi di euro in beni.
Le società fanno riferimento ai settori delle telecomunicazioni, tra cui il gigante delle apparecchiature per le telecomunicazioni Motorola, banche, energia e costruzioni; per il KLP esse contribuiscono a facilitare la presenza di Israele e quindi rischiano di essere complici di violazioni del diritto internazionale. Il disinvestimento segue la pubblicazione delle Nazioni Unite del febbraio 2020 di un elenco di 112 società con attività legate agli insediamenti israeliani, considerate illegali dal diritto internazionale.
Il governo israeliano ha denunciato la pubblicazione dell’elenco, che include aziende come Airbnb, Expedia e Tripadvisor. KLP ha anche ceduto gli operatori di telecomunicazioni tra cui Altice Europe, Bezeq, Cellcom Israel e Partner Communications che offrivano servizi all’interno della Cisgiordania occupata.
Tra le aziende cedute sono incluse anche cinque banche, Leumi, Bank Hapoalim, Israel Discount Bank, Mizrahi Tefahot Bank e First International Bank of Israel, ritenute aver facilitato o finanziato la costruzione di alloggi e infrastrutture nei territori occupati, nonché società di ingegneria come Alstom e i colleghi locali Ashtrom ed Electra. Le altre società sono Energix Renewable Energies, Delek Group e Partner Communications. Lo scorso maggio il KLP, a causa dei loro collegamenti con gli insediamenti israeliani, ha escluso anche diverse società legate all’edilizia e al settore immobiliare.
L’occupazione dei territori palestinesi è considerata illegale dall’ONU. Nei territori occupati della Cisgiordania e di Gerusalemme est vivono più di 600mila coloni israeliani.
Alla fine di giugno KLP ha annunciato la cessione del porto indiano e del gruppo logistico Adani Ports a causa dei legami con il governo militare del Myanmar.