Clima. Si continua ad incentivare l’uso dei combustibili fossili

di C. Alessandro Mauceri

Per chi ancora avesse qualche dubbio circa il cambiamento in atto sui rapporti tra economia e politica, sarà sufficiente vedere cosa è successo al Forum Economico di San Pietroburgo.
Dopo il doppio fallimento prima del G7 di Taormina e poi degli incontri bilaterali di Versailles tra il francese Emmanuel Macron e Vladimir Putin, l’attenzione dei media si è concentrata sulla dichiarazione del presidente Usa Donald Trump a proposito degli accordi per la riduzione delle emissioni di CO2 di Parigi.
Una dichiarazione che è stata attaccata (almeno sulle prime pagine dei giornali) da tutti i leader mondiali a cominciare da quelli europei e dallo stesso Putin, sebbene in misura più moderata.
A S.Pietroburgo si sono svolti numerosi incontri, sono stati firmati accordi e sono state poste le basi per i grandi progetti che caratterizzeranno il prossimo decennio. E, a sorpresa, pare che a nessuno sia importato molto dell’ambiente o delle emissioni di CO2. A cominciare dal’Italia: a margine del XXI Forum economico di Pietroburgo, diverse società italiane hanno firmato intese, siglato con Gazprom accordi per la realizzazione di un impianto di trattamento di combustibili fossili nella regione dell’Amur, per la costruzione del tratto greco del gasdotto Itgi-Poseidon per portare il gas russo in Europa, passando per le regioni del Sud Italia; anche il Politecnico di Torino ha firmato accordi per svolgere attività di ricerca e formazione con Gazprom Neft, l’ente gestore del progetto del gasdotto.
Lo stesso gli altri paesi che hanno partecipato all’evento: la Saudi Aramco, compagnia saudita del petrolio, ha annunciato di volere investire a livello “globale” nella produzione di gas e di gas naturale liquefatto (gnl). Il ministro saudita del Petrolio, Khalid al-Falih, ha dichiarato che il suo paese sarebbe interessato a partecipare ad un progetto russo per il gnl nell’Artico. La Russia dal conto suo ha mostrato le sue perplessità sui tagli alla produzione di petrolio.
Tutte misure che si aggiungono alle dichiarazioni degli statunitensi di voler aumentare la produzione di shale oil il prossimo anno di circa 1,5 milioni di barili al giorno.
Quanto all’Ue, la propria posizione di voler fare fronte comune di fronte alla decisione del presidente americano Trump e di voler comunque rispettare gli accordi di Parigi si scontra con la decisione di continuare ad usare il carbone (uno dei maggiori responsabili dei cambiamenti climatici) ancora per molto tempo. A cominciare dalla Germania che è il paese europeo che ha elargito e continua ancora a farlo più sussidi per la produzione di energia dal carbone: circa 3,2 miliardi di euro l’anno in media tra il 2005 e il 2016 (dati Overseas Development Institute, Odi). Politiche che sono state seguite anche da molti altri paesi europei come Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito (in media tra il 2005 e il 2016 questi paesi hanno erogato sussidi per 6,6 miliardi di euro l’anno). Oggi, nella verde Germania, oltre metà dell’energia viene prodotta da gas naturale e petrolio e un altro 23% da carbone e legno. Situazione non molto diversa in Italia, dove il 58 % dell’energia proviene da gas naturale e da combustibili fossili (dati 2014).
Anche lo studio dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), “Europe’s Coal-Fired Power Plants: Rough Times Ahead: Analysis of the Impact of a New Round of Pollution Controls”, prevede una riduzione minima della produzione di energia mediante combustibili fossili. Senza contare che si tratta di interventi a partire dalla data di entrata in vigour del nuovo regolamento LCP BREF, Large Combustion Plants Best available techniques Reference document, che pone dei limiti a vari tipi di inquinanti dalle centrali termoelettriche, tra i quali gli ossidi di zolfo (SOx), gli ossidi di azoto (NOx), il mercurio e il particolato (PM), ovvero dal 2021. E fino ad allora molti dei paesi europei continueranno ad inquinare.
“Zero carbone e zero povertà” è stata la sfida lanciata dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, in visita in Lombardia all’evento “Eni con l’Italia”, solo pochi giorni Dimenticando che, dopo i problemi con il nucleare che si sono verificati in Francia, nel Bel Paese è stata riaperta in fretta e furia la centrale a carbone di Genova che è andata a far compagnia ad altre undici centrali a carbone.
La verità è che oggi i combustibili fossili costano molto meno delle fonti energetiche rinnovabili: “L’eolico offre costi di generazione tra i 60 e gli 80 euro per megawattora ed il fotovoltaico è ancora più caro, con costi di generazione tra gli 80 ed i 100 euro”, ha spiegato Alessio Cristofari, direttore Sviluppo Business di Avvenia, il quale h aggiunto che “I costi di generazione da carbone sono invece intorno ai 30 euro per megawattora e quelli da gas intorno ai 40 euro”. E simili sono i costi del petrolio.
Costi che non tengono conto dell’impatto sull’ambiente. E fino a quando ciò non avverrà solo l’esaurimento delle scorte naturali potrà dissuadere i paesi ad utilizzarle. Anche quelli che hanno sottoscritto e ratificato gli accordi di Parigi.
È questa la sfida che si sta giocando oltre i confini dell’Italia e dell’Europa, nel mondo. Costringere tutti i governi a tenere conto dell’impatto sull’ambiente delle loro scelte energetiche, senza cavilli (come l’avvio tra qualche anno o decennio) ed escamotage come la “compensazione tra stati”. Ma di questo a S.Pietroburgo nessuno ha parlato.