Corea del Nord. ‘Americani rapaci’. Ma per Pompeo sono stati ‘colloqui molto produttivi’

Il nodo è la denuclearizzazione, che per Kim deve essere di tutta la penisola.

di Guido Keller

E’ stata un mezzo fallimento la missione del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, in Corea del Nord, un risultato che parzialmente depotenzia lo storico incontro di Singapore dello scorso 12 giugno di Donald Trump con il leader nordcoreano Kim Jong-un.
Al capo negoziatore nordcoreano Kim Yong-chol, Pompeo ha ribadito i tre punti fermi per arrivare ad un reale raffreddamento della crisi e quindi alla riduzione delle sanzioni economiche, ovvero la denuclearizzazione completa della Corea del Nord, le garanzie di sicurezza e il rimpatrio dei resti dei soldati statunitensi segnalati dispersi durante la guerra di Corea degli anni Cinquanta.
Specialmente il primo punto è la quadratura del cerchio difficile da trovare, non tanto per la mancata disponibilità di Pyongyang a cambiare rotta, quanto per il fatto che il regime vuole che l’intera penisola coreana sia denuclearizzata. Non bisogna dimenticare infatti che i due paesi, la Corea del Nord e la Corea del Sud, sono ancora ufficialmente in guerra in quanto non è mai stata firmata la pace dal conflitto 1950 – 1953, ed allora era stato firmato semplicemente un armistizio tra le forze Onu a guida Usa (in rappresentanza della Corea del Sud), la Cina e la Corea del Nord. Contestualmente almeno due volte all’anno Usa, Corea del Sud ed altri paesi compivano (al momento sono state sospese) esercitazioni congiunte praticamente sotto la porta del nemico, ed al confine del 38mo parallelo sono ancora oggi stanziati 33mila militari statunitensi nonché armi di ogni genere.
Ufficialmente è stato comunicato, al termine dell’incontro di Kim Yong-chol con il capo della diplomazia Usa, che “stiamo lavorando alacremente dalle due parti per arrivare alla denuclearizzazione completa della Corea del Nord e per instaurare delle migliori e durature relazioni tra i nostri due Paesi. Anche se ci sono ancora dei punti che vanno meglio analizzati e chiariti in modo da rispettare al massimo l’accordo di Singapore”.
Fatto sta che a luci spente il ministero degli Esteri nordcoreano ha diffuso un comunicato, ripreso dall’agenzia di stampa sudcoreana Yonha, dove si parla dell’“atteggiamento e delle posizioni assunte dagli Stati Uniti nel corso dei colloqui di alto livello che sono risultati estremamente deplorevoli”, con “richieste di denuclearizzazione rapaci e unilaterali”. Uno sfogo, quello del ministero nordcoreano, ben diverso dai toni trionfalistici usati da Pompeo per il quale i colloqui con la controparte sono stati “molto produttivi”: “Queste – ha spiegato il segretario di Stato Usa – sono questioni complicate, ma abbiamo fatto passi avanti su quasi tutte le questioni centrali, per alcune molti progressi, per altre c’è ancora molto lavoro da fare”.
Oggi Pompeo è giunto a Tokyo per spiegare agli alleati giapponesi e sudcoreani come stanno le cose. Tuttavia resta viva la percezione che, al di là dei proclami, la questione nordcoreana sia tutt’altro che risolta a causa del consueto atteggiamento della Casa Bianca di volere tutto senza dare niente, neppure ritirare i 33mila militari e gli armamenti stanziati al 38mo parallelo.