Cyber warfare conference 2017. Sicurezza e terrorismo: Lombardi, ‘siamo in guerra’

di Vanessa Tomassini –

“Siamo di fronte ad una guerra ibrida, una guerra senza regole che si combatte tra i vari attori principalmente sul web, dove non ci sono arbitri. Riprendendo le parole di Papa Francesco e del presidente Mattarella, possiamo affermare che qui stiamo combattendo la terza guerra mondiale che non è politicamente accettata. Per fortuna che c’è il terrorismo, perché ci permette di classificare come terroristici gli attentati e le violenze che avvengono all’interno dei nostri confini, in Europa, senza considerare il modello di guerra ibrida, perché le guerre stanno altrove”.
Un intervento dai toni accesi, ma sicuramente giusti, quello del professor Marco Lombardi, docente alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica e direttore dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME), all’ottava Conferenza nazionale sulla Cyber Warfare 2017. Si tratterebbe di una narrativa inaccettabile per la maggior parte dei governi europei ed occidentali, ma questo sarebbe lo scenario. “Quello che ci interessa – ha aggiunto- è la pluralità di asset, quello economico, comunicativo, quello degli eserciti tradizionali, quello del terrorismo che poi diventa ‘freedom fighters’ se non lo capiamo. Questo è il quadro in cui abbiamo conosciuto un terrorismo che ci ha spiazzato, che è quello di Daesh che ha iniziato a controllare un territorio, che ha portato la guerra all’interno del Mediterraneo, dove sembrerebbe che gli Americani abbiano delegato i Sauditi di combattere”.
Il professore, parlando ad un pubblico di esperti e addetti ai lavori, ha continuato spiegando che “è un terrorismo che andrà avanti cambiando forma ed è questo che ci interessa parlando di cyber. Facendo discutere molti analisti, ma trovando invece d’accordo molti magistrati, io ho iniziato, da diversi anni, a definire un atto terroristico per gli effetti che quell’atto ha, non per le ragioni che lo promuovono”. Questa è una visione totalmente diversa, in quanto tutta la normativa parte dalle cause e non dagli effetti, “per cui il terrorismo è sempre una connessione politica, una motivazione di cambiamento dello Stato. È necessario sganciarsi da questa visione – ha spiegato Lombardi – se no non lo capiremo mai. Un atto terroristico è tale per gli effetti che genera e non per le sue ragioni”.
Il docente dell’Università Cattolica ha poi passato in rassegna i mezzi della comunicazione “fatta estremamente bene” di questo terrorismo, in particolare di Daesh, che avviene al 90% in rete. “Basta vedere l’estensione dei file, per capire i canali di distribuzione e quelle che sono le caratteristiche degli utenti”, per questo è fondamentale, secondo l’esperto, una “contro-narrativa”. Di recente assistiamo ad attacchi terroristici con una cadenza regolare, quasi mensile. Un tema che continua a ripetersi anche nella comunicazione, non tanto attraverso le rivendicazioni di Amaq, bensì tramite banner periodici, come quelli diffusi in questo periodo in occasione del Natale, molto simili a quelli che hanno fatto eco agli eventi sanguinosi di Manchester e Barcellona, tenendo vivo un Daesh che ha perso il territorio, ma sarebbe già strutturato per muoversi su un altro piano. Anche se le cose si stanno complicando, un cambiamento a livello comunicativo c’è stato, si è abbassato il livello e soprattutto “assistiamo a più voci, mentre Daesh prima dominava”. Lombardi ha anche criticato il centro di ricerca americano Site che il 23 agosto 2017 ha ripreso del materiale del 2014, dove Daesh minacciava gli Stati europei, soprattutto l’Italia, innescando una vera e propria campagna mediatica minacciosa da parte dei media. “Quant’è l’interesse dei compagni americani di minacciare il nostro Paese? Perché rivendere come nuovo, qualche messaggio di due anni prima?”, si chiede Lombardi.
Anche i media hanno le proprie colpe diffondendo messaggi e immagini della propaganda jihadista o diffondendo in rete le immagini del terrore, rischiando di dar vita a fenomeni di emulazione. Lombardi si interroga sul futuro, sulla pericolosità dei foreign fighters in particolare la domanda è: “bisogna avere più paura di chi torna o di chi è restato? Perché dobbiamo essere così etnocentrici?” Secondo il direttore di Itstime, bisogna preoccuparsi di più “di dove vanno”. Cyber e reale insomma si intrecciano: in un mondo che è sempre più sovrapposto e confuso tra virtuale e reale, “va bene vincere questa guerra sul piano comunicativo, ma è necessario non perdere di vista il territorio, altrimenti – conclude Lombardi – tra 20 anni scopriremo che ce li siamo allevati in casa, e quelli ci stanno sparando addosso”.