Danimarca. Accordi con il Kosovo per trasferire 300 detenuti

di C. Alessandro Maceri –

Il ministro della Giustizia del Kosovo Albulena Haxhiu ha annunciato che a breve il governo danese trasferirà in Kosovo 300 detenuti attualmente detenuti nelle carceri danesi. In cambio il governo di Pristina riceverà oltre 210 milioni di euro, dei quali una parte, 68 milioni di euro, da utilizzare per progetti dell’energia verde. I due governi hanno firmato una “dichiarazione politica” di intenti che avrà una durata iniziale di cinque anni.
All’origine di questa decisione potrebbe essere la saturazione delle carceri danesi. Dal 2015 la popolazione carceraria è aumentata del 19%, mentre il numero delle forze dell’ordine che lavorano nei penitenziari è diminuito del 18%. Per questo motivo, secondo alcuni dati forniti dal governo, nel paese scandinavo è stata quasi raggiunta la capacità massima del sistema carcerario, con oltre 4mila detenuti su una popolazione nazionale di circa 6 milioni di abitanti.
Eppure fino a pochi anni fa il sistema di detenzione delle carceri danesi era indicato come modello di rispetto dei diritti umani e civili. In un rapporto del 2009 il relatore speciale delle Nazioni Unite affermava di essere “rimasto colpito dalle condizioni di detenzione nelle otto strutture che ha visitato in Danimarca e Groenlandia”. Nei centri di detenzione visitati “i prigionieri sono alloggiati in celle singole e possono organizzarsi a loro piacimento, garantendo così ad ogni detenuto privacy e autonomia nella misura in cui possibile. Le strutture sono mantenute pulite e decorate e le carceri sono dotate di biblioteche, computer e attrezzature sportive. Inoltre, conformemente al principio dell’esercizio della responsabilità, una serie di attività nei laboratori sono offerte ai detenuti e la maggior parte dei detenuti è in regime di auto-cucina”. Ma non basta, “i detenuti hanno numerose opportunità di stabilire e mantenere contatti al di fuori delle carceri, anche attraverso politiche di visita molto liberali”.
Molto diversa la situazione in Kosovo. Nel 2020 un rapporto del Dipartimento di Stato americano ha messo in risalto molti dei problemi dei centri di detenzione del Kosovo. Si parla di violenze tra i prigionieri, corruzione, esposizione a opinioni religiose o politiche radicali e perfino di mancanza di cure mediche. Secondo quanto riportato da Amnesty International, a settembre, sarebbe stato avviato un procedimento contro l’ex comandante dell’UCK, Salih Mustafa, incriminato per detenzione arbitraria, trattamento crudele, tortura e omicidio di civili nel campo di detenzione di Zllash nell’aprile 1999.
I detenuti danesi che saranno trasferiti in Kosovo saranno “ospitati” nel penitenziario di Gjilan. Ma Fatmira Haliti del Kosovo Rehabilitation Center for Torture Victims, un’organizzazione senza scopo di lucro che monitora il sistema carcerario del paese, ha affermato che il trasferimento di circa 200 detenuti dalla prigione di Gjilan per far posto ai prigionieri danesi sovrappopolerebbe altri istituti carcerari. Il punto è che, come quello danese, anche il sistema carcerario del Kosovo è al limite della saturazione: ha una capacità fino a 2mila posti di cui solo 400 ancora liberi.
Il ministro della Giustizia danese, Nick Hekkerup, ha dichiarato che l’invio di detenuti in Kosovo avverrà in linea con le norme a salvaguardia dei diritti umani a livello internazionale. “I detenuti deportati potranno ancora ricevere visite, anche se naturalmente sarà difficile”, ha dichiarato Hekkerup. “I detenuti che saranno trasferiti in questo istituto non saranno ad alto rischio”, ha aggiunto Haxhiu.
Dichiarazioni che non sono bastate a cancellare i tanti dubbi sulla decisione di trasferire solo detenuti “extra-Ue”. In molti pensano che potrebbe trattarsi di un primo esperimento per scaricare ad altri la responsabilità del loro trattamento.
L’accordo tra i due paesi farebbe parte di una serie di misure delle autorità danesi volte ad ridurre il carico sul sistema carcerario nel paese appare insufficiente: pare che il numero dei detenuti sia il più alto dagli anni ’50. A questo si aggiunge che il trattamento dei detenuti extracomunitari potrebbe non essere sempre all’altezza degli standard danesi: a giugno l’Istituto danese per i diritti umani ha pubblicato un sondaggio dal quale emergerebbe che i membri delle minoranze sono sempre più spesso vittime di abusi verbali e fisici, specie durante il blocco COVID-19.
Quello proposto dai governi danese e kosovaro non è né il primo né l’unico esperimento di questo genere: anche la Norvegia qualche anno fa aveva firmato un accordo con i Paesi Bassi che prevedeva l’affitto di posti nelle carceri olandesi. Anche quell’accordo venne criticato sebbene, almeno sulla carta, di durata limitata: solo un paio d’anni, il tempo necessario di ristrutturare i penitenziari di Olso e Bergen. L’accordo tra Danimarca e Kosovo appare diverso.
In molti, specie dall’opposizione, ritengono che il governo abbia deciso di utilizzare questo stratagemma come forma per risolvere la questione dell’immigrazione. “Non credo che dovremmo istituire 300 celle all’estero – ha dichiarato la portavoce dell’opposizione Rosa Lund, – ci sono altri modi di gran lunga migliori per risolvere i problemi di capacità. Inoltre, sarà molto difficile tenere d’occhio i diritti umani dei prigionieri, storicamente violati nelle carceri di Pristina”.
“(L’accordo) creerà spazio nelle nostre carceri e allevierà la pressione sui nostri agenti penitenziari e allo stesso tempo invierà un chiaro segnale ai cittadini di paesi terzi condannati alla deportazione: il vostro futuro non risiede in Danimarca”, ha ribadito il ministro della Giustizia danese Nick Haekkerup. A conferma del fatto che quella presa dal governo danese è una decisione che non è dovuta solo al sovraffollamento delle carceri. Negli ultimi anni, la Danimarca ha adottato numerose misure per ridurre l’immigrazione introducendo restrizioni spesso discusse. Proprio la scorsa settimana, in un processo di impeachment che passerà alla storia, l’ex ministra dell’Immigrazione Inger Stoejberg è stata riconosciuta colpevole di aver separato illegalmente le coppie richiedenti asilo (nel 2016). Ed è condannata alla pena esemplare di 60 giorni di carcere. Un carcere danese, ovviamente.