Danimarca. Rischiano “gravi conseguenze” gli espulsi curdo-iraniani

di Shorsh Surme

L’Organizzazione per i Diritti Umani (Hengaw) ha riferito che due attivisti curdi e richiedenti asilo, entrambi residenti Danimarca, rischiano di essere rimpatriati in Iran, dove entrambi potrebbero essere condannati a morte da parte dell’autorità degli Ayatollah.
Chiya, 29 anni, è nato da genitori curdi del Kurdistan dell’Iran (Rojhalat) sul monte Qandil, nella regione del Kurdistan dell’Iraq, dove ha sede la base della guerriglia del partito del Kurdistan Iraniano (PDKI); non mai avuto la cittadinanza iraniana, non è mai stato in Iran e attualmente vive con la madre, che ha ottenuto lo status del rifigliata politica, in Danimarca, mentre il padre è rimasto ucciso.
La polizia danese, a seguito di un’ordinanza del tribunale, si è recata nel luogo di residenza di Qaderi il 31 giugno scorso per prenderlo in custodia. Hengaw ha riportato che il giovane si è rifiutato di andare con gli ufficiali che gli hanno dato due settimane per appellarsi alla sentenza del tribunale di mandarlo in Iran. Se le autorità giudiziarie dovessero respingere l’appello dell’uomo, Qaderi verrebbe mandato in Iran, dove potrebbe affrontare “gravi conseguenze” ad opera del governo di Teheran.
I richiedenti asilo in Danimarca, ai quali viene negato lo status di rifugiato, vengono rinchiusi in un campo e vengono rimpatriati senza badare alle conseguenze.
UN altro richiedente asilo di nome Mohammed Haidarpour, 35 anni, nato nella regione occidentale dell’Iran a maggioranza curda, ha detto a Hengaw di essersi ammalato di “disagio fisico e mentale”. Ha detto tuttavia che le autorità danesi gli avevano assicurato che non sarebbe stato “in pericolo” se fosse tornato in Iran. Tale affermazione è altamente discutibile, data la storia di arresti e violazioni dei diritti umani di Teheran nei confronti dei gruppi di opposizione.
Haidarpour ha anche chiesto l’aiuto alle organizzazioni per i diritti umani per impedire la sua deportazione.
Solo nel mese di luglio sono state eseguite almeno quindici condanne a morte contro attivisti politici curdi, impiccati nelle pubbliche piazze nelle loro città natali.