Dietro l’ipocrisia dei governi i curdo-siriani restano isolati. Perché sacrificabili

di Dario Rivolta * –

Un pluri-ministro britannico del secolo scorso ebbe a dichiarare che “La politica non necessita di alcuna morale. Questa va lasciata ai singoli individui e ai loro arcivescovi”.
Niente di più attuale se guardiamo a cosa succede in Siria in questi giorni. Ogni protagonista coinvolto, sia esso vicino o lontano dai fatti, ha le sue ragioni e le sta perseguendo senza tentennamenti. Nessuno si sta facendo alcun tipo di scrupolo morale e anche alcuni di quelli che fingono di averne, in realtà, se ne infischiano.
Per le opinioni pubbliche di tanti Paesi le cose stanno in modo differente, ma loro sono infatti i “singoli individui” cui si riferiva il politico britannico. E’ difficile trovare tra la gente comune chi non sia indignato dal fatto che i curdi di Siria, proprio quelli che più si sono battuti contro i terroristi dell’ISIS, che hanno versato più sangue e sono stati i maggiori artefici della loro sconfitta sul terreno, siano oggi oggetto di potenziale massacro da parte delle truppe turche. Sì, esattamente quei turchi che, almeno all’inizio, hanno finanziato e protetto bande di fanatici che, se non erano l’ISIS, erano comunque loro alleati di fatto. E’ pur vero che poi Ankara sembra aver cambiato atteggiamento e che abbia interrotto i rifornimenti verso di loro. Tuttavia, anche ciò non corrisponde a tutta la verità: da chi sono aiutati quei miliziani di vari gruppi che al fianco di al-Qaeda difendono la città di Idlib contro l’esercito ufficiale siriano?
Il fatto è che i turchi hanno le loro (poco condivisibili dal sottoscritto) ragioni: i curdi di Siria, o almeno il partito tra tutti loro egemone, il PYD (Partito Democratico, di cui lo YPG è l’ala armata), sono indubbiamente legati al PKK di Turchia. Da loro ricevono armi, sostegno logistico e forse anche denaro. E’ risaputo che la Turchia considera il PKK una forza terroristica (difficile contestarlo) che punta, tramite azioni armate e attentati, alla scissione della parte est del Paese per dar vita al sospirato Stato curdo. E’ anche noto che da Kemal Ataturk in poi Ankara perfino neghi che esista un “popolo curdo” in Turchia, e definisce quella gente semplicemente come “turchi di montagna” negando loro non solo una qualunque autonomia ma anche punendo l’uso della loro lingua. Perfino la creazione di un partito curdo che ha regolarmente e democraticamente partecipato alle elezioni superando la soglia del 10 per cento dei voti non è stata ben accetta. Alcuni deputati eletti, tra cui il loro leader carismatico Selahattin Demirtaş, sono stati imprigionati con l’accusa di fiancheggiare il terrorismo, in barba all’immunità parlamentare. Ora, in Siria i curdi locali, dopo aver sconfitto l’ISIS, hanno dato vita a una pseudo-entità amministrativa con l’ambizione di ottenere da Damasco, una volta finito definitivamente il conflitto, una qualche forma di autonomia. Questo è esattamente ciò che i turchi temono: una regione autonoma tutta gestita da curdi amici del PKK potrebbe significare una futura zona franca in cui quei terroristi andrebbero a rifugiarsi dopo aver compiuto i loro attentati.
Ecco spiegate le ragioni di questo sconfinamento armato in uno Stato estero verso cui (almeno per ora) nessuna guerra è stata dichiarata. Ed ecco anche la volontà di occupare una “fascia di garanzia” estesa almeno trenta chilometri che impedisca a una possibile futura regione curda di essere direttamente in contatto con la frontiera turca favorendone la permeabilità. Se tale operazione implica bombardamenti aerei, cannoneggiamenti, stragi ai limiti del genocidio, poco importa. Comunque sia, il lavoro a terra più sporco, se non altro in una prima fase, non lo sta facendo l’esercito ufficiale turco, bensì i soliti gruppi “indipendenti” da esso foraggiati.
Qualcuno si domanda perché gli americani se ne siano andati da quella zona, permettendo quindi ciò che tutti sapevano sarebbe successo. Se fossero rimasti in loco, attaccare avrebbe significato per la Turchia il rischio di colpire anche soldati a stelle e strisce e questo non sarebbe potuto rimanere senza conseguenze. Ebbene Trump, pur con l’ostilità (almeno per quanto è fatto sapere) dei suoi consiglieri e del Pentagono, ha due obiettivi: mostrare al proprio elettorato che sta mantenendo l’impegno di ritirare le proprie truppe da teatri di guerra “inutili” non voluti da lui e assecondare la Turchia per non rompere i rapporti bilaterali e con la NATO già molto incrinati. E la minaccia di “distruggere” l’economia turca? Solo teatro! Vogliamo scommettere che nulla accadrà prima che i turchi abbiano raggiunto il proprio scopo? Dopo averlo ottenuto, Ankara accetterà di fermare le ostilità ed eventuali sanzioni diventeranno inutili.
Ma gli iraniani che stanno con al-Assad e dichiarano di non accettare l’invasione del territorio del loro alleato? Ancora teatro, perché paradossalmente l’attacco contro i curdi fa gioco anche a lui e quindi a Teheran. E’ successo infatti, come previsto, che i curdi in forte difficoltà siano stati costretti a chiedere l’aiuto di Assad e l’esercito di quest’ultimo sta già muovendosi verso quell’area. Quanto tempo ci impiegherà ad arrivare dipenderà da come andranno le operazioni militari turche. L’ultima cosa che Damasco desidera è un conflitto vero con la Turchia, ma arrivare sul territorio, di fatto ri-occuparlo direttamente (e l’autonomia curda? Se ne discuterà in seguito. Forse.) e da quel momento ottenere la fine delle ostilità ridona un ruolo sovrano sulla zona che Damasco aveva già perduto. Quale migliore risultato per la dominante oligarchia alawita?
Poveri curdi! Tuttavia è lecito pensare che, se non altro, potranno contare sulla solidarietà dei fratelli curdi che stanno in Iraq, nella locale Regione Autonoma. Niente di più improbabile! Certamente la popolazione comune (ecco ancora i “singoli individui”!) parteggia per i consanguinei siriani ma non è la stessa cosa per i governanti di quella Regione. Innanzitutto occorre non dimenticare che l’unico oleodotto che parte del Kurdistan iracheno per arrivare sui mercati internazionali passa proprio per la Turchia. E poi, è quello lo stesso tragitto che devono fare tutte le merci in entrata e le poche in uscita. Come sopravvivrebbe il Kurdistan iracheno se la Turchia dovesse chiudere la frontiera tra loro? Occorre anche ricordare che il leader curdo-iracheno Barzani aveva cercato di diventare padre nobile anche dei curdi di Siria ma non c’era riuscito e, pur mantenendo in loco un certo numero di seguaci, non è lui a egemonizzare i curdi locali. E con il PKK non aveva mai avuto buoni rapporti. Di conseguenza, se Il PYD fosse ridimensionato nella sua forza e nelle sue ambizioni, non saranno certo le autorità curde di Iraq a piangere. Anzi!
Anche la Russia non si dispera più di tanto della sorte che tocca i curdi di Siria. Non solo perché, comunque, Mosca spalleggia al-Assad ed ha tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con Ankara, ma soprattutto perché, dichiarandosi contraria all’invasione ma continuando nell’amicizia sia con i turchi sia con i siriani, diventa la più titolata a offrirsi come mediatore. In questo modo dimostrerà, una volta ancora, che niente in Medio Oriente può più prescindere dalla sua buona volontà.
L’Europa? Meglio non parlarne. Ancora una volta non agisce unitariamente, si fa mettere i piedi in testa da un Erdogan qualunque e sembra perfino non aver ancora capito cosa stia veramente dietro a quel che sta succedendo. La Germania e la Francia annunciano di “sospendere” la vendita di armi alla Turchia e i tedeschi precisano che si tratta di “una parte degli armamenti”. L’Italia, per bocca del suo ministro degli Esteri, fa dichiarazioni a vanvera ma non prende posizione. Il Parlamento europeo “condanna le violenze” (chi oserebbe sostenere il contrario?) e chiede che “qualcuno” intervenga. L’iniziativa diplomatica vera, comunque, è lasciata nelle mani di altri.
Quanta ipocrisia dietro gli avvenimenti cui assistiamo! Eppure questa è la realtà della politica: si raccontano le cose e si fanno dichiarazioni in un modo e si agisce in tutt’altro. Niente di nuovo sotto il sole.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.