Difesa Europea. Italia fuori, ma forse non è un male

di Marco Pugliese

Per comprendere appieno la questione spinosa e delicatissima dello scenario della Difesa europea (DE) occorre partire dalla PESCO, la cooperazione militare Ue per la difesa, e dalle divergenze tra le posizioni di Parigi e Berlino. La Francia avrebbe voluto pochi partecipanti e con più peso, la Germania ha puntato ad una struttura abnorme, 17 progetti per 25 paesi, linea poi passata. Spagna ed Italia hanno creduto nel PESCO, ma se gli interessi di Madrid sono più che altro politici e di prestigio, quelli italiani sono di carattere industriale. Il PESCO offre un mercato più ampio, anche se è ancora la Nato a livello d’industria pesante a dettare le linee guida. L’export tedesco infatti risulta restrittivo e questo modello vorrebbe esser evitato da Parigi in sede di struttura difensiva Ue. Parametri di costruzione, armamenti, cantieri ed aree di prova devono mantenere caratteristiche utili alla costruzione globale. Su questo punto Londra non transige, soprattutto dopo aver adeguato i propri cantieri navali alle nuove classi di costruzione. L’ Italia con Fincantieri è in pieno rinnovamento ed attualmente punta al mercato globale, India ed Australia ad esempio. Fondamentale che non si creino parametri o gabbie di costruzione non adatte al mercato navale, che rappresenta in questo momento il traino dell’export militare mondiale. Usa, Cina, Giappone ed India infatti si stanno sfidando (con la Russia sempre alla finestra) negli oceani e mari asiatici. Se la Cina predilige l’export russo, Giappone ed Usa (specialmente per il naviglio leggero) puntano molto al mercato europeo, italiano soprattutto. L’eventuale entrata dell’Italia nella DE limiterebbe moltissimo la competitività di Roma che in Australia di recente ha perso d’un soffio una commessa navale a causa d’un sovrapprezzo probabilmente dovuta all’upgrade dei cantieri che ne ha alzato leggermente il prezzo finale proposto in sede di bando.

European intervention initiative: il club Macron.
Il presidente francese è attivissimo a livello militare, tanto da proporre agli stati europei che lo chiedano d’entrare in questo gruppo esclusivo (invito rivolto anche a paesi extra Ue), flessibile e rapido in caso d’interventi militari, di fatto saltando la burocrazia europea. Quel che la Francia ha combinato in Libia, di fatto con questo gruppo viene legittimato. Ma far parte del club non è gratuito, bisognerebbe comprare armamenti francesi o comunque dalle caratteristiche simili a livello di costruzione. L’idea di Parigi è raggruppare stati medi o piccoli che non abbiamo tessuto industriale, di fatto tagliando le gambe a Londra, Roma e Berlino in Europa. L’iniziativa francese extra Ue sarebbe indirizzata all’Africa, dal Niger passando per il Mediterraneo, idea che fu già di De Gaulle, ovvero imporre la sovranità europea in salsa francese. Una salsa indigesta però alle altre potenze industriali europee. L’Europa a due, dopo l’ uscita di Londra, appare sempre più scricchiolante, soprattutto perché Parigi tenta d’imporre la propria linea strategica. L’asse tra Parigi e Berlino non piace agli stati nordici quanto a quelli meridionali, tra cui l’Italia, un polo industriale rilevante. La DE pare una European intervention initiative condivisa con la Germania. Tradotto, parametri di costruzione adatti a Parigi e Berlino, interventi decisi su quest’asse insieme al posizionamento strategico primario e secondario. Gli altri stati un semplice contorno. L’Italia di Giuseppe Conte per ora rimane fuori ed è libera di continuare ad essere competitiva sul mercato globale.

Il ruolo italiano: ci vuole coraggio!
L’ Italia deve in questo momento storico collaborare alla DE con appoggio esterno. Fare ciò che di fatto fece per anni la Francia con la Nato. Rimanere sul mercato globale è troppo importante per le nostre aziende del settore difesa, gli Usa sono un mercato che il nostro paese non può perdere. In Asia e Medio Oriente inoltre le quotazioni italiane sono in rialzo, dall’Australia all’India l’export italiano registra incrementi al 25% rispetto al decennio precedente. Non è d’altronde un segreto che le pressioni per escludere aziende a controllo extra-Ue (anche in j-venture) vengano soprattutto dalla Francia, che ha l’interesse in questa fase a sostenere il proprio comparto industriale pesante. Queste aziende però spesso lavorano in joint-venture con quelle italiane che ne detengono poi la questione manutenzione, upgrade e sviluppo. L’affaire Stx ha insegnato nel 2017 che la Francia antepone i propri interessi nazionali sempre e comunque, in quel caso infatti Macron s’impose onde evitare l’Italia con Fincantieri diventasse primo costruttore europeo di grosso tonnellaggio navale. Roma deve, nel prossimo biennio, aver il coraggio d’esser propositiva in contesto europeo, presentando un progetto di DE ritagliato sui tre maggiori attori industriali, dividendo di fatto obiettivi e sviluppo. Berlino pare intenzionata a trattare per una soluzione più inclusiva, ma anche Berlino non dimentica mai i propri interessi nazionali. L’Italia nel frattempo non deve sganciarsi dal treno Usa, includendo nel proprio mercato di riferimento paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, non escludendo Albania, Tunisia e Marocco. Anche con la Russia Roma conta di riallacciare i rapporti, e l’asset industriale, civile soprattutto, sarebbe fondamentale per l’espansione italiana nell’Asia centrale, teatro in cui l’Italia è presente ma senza incidere come potrebbe, in Azerbaijan ad esempio. Il Belpaese quindi, per una volta, non pare penalizzato dalla mancata entrata nella DE, ma nazi può trarne soluzioni atte a garantirsi fette di mercato industriale.