Distensione fra Giuba e Khartoum: si riprende a pompare petrolio

di Giacomo Dolzani –

Anche il Sud Sudan comincia (forse) a vedere un po’ di luce alla fine del tunnel di miseria, in cui si trova dal giorno della sua indipendenza da Khartoum. Nelle scorse settimane infatti il governo di Juba è finalmente riuscito a raggiungere un accordo con il Sudan a riguardo della spartizione dei proventi derivanti dal greggio, estratto nel Sud ma che obbligatoriamente deve transitare attraverso gli oleodotti controllati da Khartoum.
Proprio questo fatto aveva nei mesi scorsi causato la crisi tra i due paesi, che li aveva portati sull’orlo di una guerra appena pochi mesi dopo il referendum che, il 9 luglio 2011, ha sancito la loro divisione.
Il Sud infatti, ricco di giacimenti petroliferi e dotato di strutture estrattive, non possiede altre infrastrutture se non gli oleodotti che portano il greggio verso nord, in Sudan. Il passaggio attraverso il territorio sudanese è inevitabile, in quanto il Sud Sudan non possiede uno sbocco al mare o altri oleodotti che vadano in direzioni diverse quindi, per poter vendere il suo petrolio, Juba è completamente sottomessa alle decisioni di Khartoum.
Proprio sfruttando questa posizione di vantaggio, il governo sudanese aveva imposto a Juba una tassa di 32 dollari su ogni barile di petrolio transitato attraverso i suoi oleodotti e proveniente dal Sud Sudan, il quale si rifiutò di pagare se non in minima parte (un dollaro al barile). La reazione di Khartoum fu il sequestro di due petroliere battenti bandiera sudsudanese, ormeggiate in uno dei suoi porti, scatenando una serie di reazioni a catena che sfociarono in schermaglie tra i due eserciti e la decisione di Juba di sospendere la produzione di petrolio, annullando praticamente il PIL del paese.
Ora che un accordo sulla commissione che Juba deve versare a Khartoum sembra essere stato trovato, il ministro delle finanze sudsudanese Marial Awou Yol ha annunciato che il ministero del petrolio e delle attività minerarie ha programmato per dicembre la ripresa delle attività estrattive, con una riscossione dei primi pagamenti a gennaio dell’anno venturo, per raggiungere infine a giugno 2013 una produzione a pieno regime.
Sembra quindi scongiurato il timore di un collasso finanziario del paese, i cui conti non godono (e in verità non hanno mai goduto) di buona salute, e le cui entrate derivano in sostanza interamente dalla vendita del greggio.