Drone abbattuto: Trump ordina l’attacco, ma poi ci ripensa

Ci sarebbero state forti ripercussioni sul petrolio. I pasdaran, 'avremmo potuto abbattere anche l'aereo che lo accompagnava'.

di Francesco Cirillo –

Nella notte le forze statunitensi avevano ricevuto l’ordine di colpire obiettivi militari iraniani, come risposta all’abbattimento del drone statunitense. Tutti gli obiettivi erano stati consegnati ai bombardieri e alle unità navali ed erano in stato di combat reader, con i caccia già in volo e pronti a scatenare il potenziale bellico statunitense sulle postazioni militari iraniane come batterie missilistiche e stazioni radar. Improvvisamente è arrivato un contrordine dalla Casa Bianca: missione abortita e i caccia e le unità della marina militare sono rientrati, nessun missile è stato sparato.
Quello che appare è che l’amministrazione statunitense sia stata convinta dagli ufficiali del Pentagono, resti ad uno scontro tra le forze statunitensi e quelle iraniane nella regione mediorientale, che avrebbe influenzato pesantemente il mercato petrolifero e messo in crisi il sistema economico internazionale. Inoltre avrebbe messo in pericolo la sicurezza delle forze militari americane dispiegate con la 5, Flotta nel Golfo Persico e in tutta la regione del Medio Oriente. La chiusura dello Stretto di Hormuz avrebbe fatto schizzare il prezzo del Petrolio con conseguente crisi economica del sistema economico saudita, che si sarebbe trovato isolato dal traffico internazionale, per via che il grosso dei giacimenti è dislocato nella zona nord orientale del Golfo e quindi sotto bersaglio delle batterie missilistiche di Teheran.
Se all’inizio il consigliere per la Sicurezza nazionale John R. Bolton, il segretario di Stato Mike Pompeo e il direttore della Cia Gina Haspel avevano appoggiato l’azione militare, in breve tempo si sono trovati in minoranza, con il Pentagono vincitore della lotta interna all’amministrazione statunitense.
L’azione avrebbe avuto esiti imprevedibili, anche perché il lancio del drone da ricognizione di tipo Mq-4c Triton, appartenente alla Marina Militare statunitense, rappresenta a tutti gli effetti un’azione di guerra le forze della repubblica Islamica avevano pieno diritto di abbattere un velivolo nemico. Tra l’altro il generale dei pasdaran Ami Ali Hajizadeh, capo dell’aviazione, ha comunicato che “avremmo potuto colpire anche l’areo” che accompagnava da distanza il drone “con a bordo 35 militari”, ma “ci siamo limitati ad un avvertimento alle forze terroriste degli Stati Uniti”.
Sul piano internazionale va comunque ricordato che, tecnicamente, a Trump per intervenire sarebbe servito il via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove Cina e Russia sarebbero intenzionate a porre il veto.
La tensione resta altissima, ed ha preso il via dopo che gli Usa si sono ritirati dal Jpcoa, l’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto dal “5+” nel 2015. Come pretesto il presidente Usa aveva preso il lancio di un missile balistico convenzionale “Khorramshahr” da parte degli iraniani nel settembre 2017, ma tale arma era esclusa dal Jpcoa e comunque l’Aiea, l’Agenzia atomica internazionale, ha sempre certificato il corretto rispetto da parte dell’Iran dell’accordo.
Poi vi sono stati il mese scorso due attacchi ad altrettante petroliere ancorate nei porti emiratini, e di nuovo il 13 giugno ad altre due petroliere nell Golfo dell’Oman, a 40 miglia ad est del porto emiratino di Fulariah, azioni che lasciano molti dubbi circa le reali responsabilità, di certo qualcuno che sta cercando il casus belli. Sugli ultimi due incidenti il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha fatto notare che i primi soccorsi sono stati operati proprio dalla Marina iraniana con tanto di evacuazione dell’equipaggio, e che nello stesso momento dell’attacco alle due navi, che dovevano portare carburante in Giappone, era in visita a Teheran il premier nipponico Shinzo Abe, per le colpe non andrebbero ricercate a Teheran.
L’ostilità di Trump nei confronti dell’Iran, tale al punto da obbligare paesi alleati come l’Italia ad interrompere l’acquisto di idrocarburi dalla repubblica Islamica, va ricercata nel governo di Tel Aviv: il presidente Usa è stato eletto grazie alle potenti lobby sioniste, le prime a volere che la Repubblica Islamica venisse messa ferro e fuoco.