Eau. La partita di famiglia dietro l’impero della sicurezza

di Giuseppe Gagliano –

Da anni Tahnoon bin Zayed al-Nahyan è considerato l’uomo più potente negli Emirati dopo il presidente Mohammed bin Zayed (MbZ). Dal 2016 è consigliere per la Sicurezza nazionale, ma la definizione riduttiva di “funzionario” non rende giustizia al suo raggio d’azione. Tahnoon controlla un impero economico che vale oltre 1,5 trilioni di dollari in fondi sovrani, con investimenti che vanno dall’intelligenza artificiale alla biotecnologia, fino alla sorveglianza di nuova generazione.
Il suo nome compare ai vertici di G42 e MGX, società tecnologiche emiratine che hanno stretto partnership con colossi come Microsoft, BlackRock e Global Infrastructure Partners. Una strategia perfettamente coerente con gli obiettivi di Abu Dhabi: usare l’innovazione tecnologica come moltiplicatore di potere economico, politico e militare. È lo stesso Tahnoon ad aver spinto l’Emirato verso l’IA, la cybersecurity e la guerra digitale, strumenti che rendono oggi Abu Dhabi un attore rilevante nella geopolitica globale della tecnologia.
Il volto pubblico di Tahnoon è quello dell’imprenditore che investe nel futuro. Ma dietro la facciata non mancano le accuse: campagne di hacking contro dissidenti, spyware contro oppositori interni ed esterni, fino a operazioni coordinate nei conflitti regionali. Una guerra invisibile che ha consolidato la reputazione di Abu Dhabi come centro nevralgico di intelligence e controspionaggio. Tahnoon mantiene un profilo basso, lontano dai riflettori, ma la sua influenza si estende ovunque si incrocino affari e sicurezza.
Diverso il profilo di Hazza bin Zayed, anch’egli nominato nel 2023 vice sovrano di Abu Dhabi. A lui MbZ ha affidato il ruolo di rappresentante del governante nella regione di Al Ain. Le sue attività sembrano limitarsi a un’agenda più istituzionale e cerimoniale: incontri con enti locali, valutazioni di progetti su infrastrutture, energia, trasporti, sviluppo urbano e patrimonio culturale. Hazza appare come il custode della dimensione “territoriale” del potere emiratino, più vicino ai bisogni della comunità che alle strategie globali.
Eppure, dietro l’apparente divisione dei ruoli, emergono frizioni. Secondo recenti rapporti, Hazza avrebbe tentato di espandere la propria influenza anche nella gestione dei dossier di sicurezza e nelle relazioni con i proxy regionali che Abu Dhabi sostiene in conflitti come Yemen, Libia o Sudan. Un terreno che, storicamente, è nelle mani di Tahnoon. La concorrenza interna riflette le dinamiche tipiche di una monarchia familiare: equilibri che si spostano, ambizioni che crescono, rivalità che restano sommerse ma non per questo meno reali.
La nomina di Tahnoon e Hazza a vice sovrani si inserisce nel più ampio riassetto deciso da MbZ nel 2023: il figlio Khaled designato erede come principe della corona, Mansour vice presidente degli Emirati, altri fratelli collocati in ruoli chiave. Una strategia di consolidamento che serve a blindare la famiglia al potere in una fase di incertezza: le guerre in Medio Oriente, la competizione per il gas e le energie rinnovabili, il braccio di ferro con le grandi potenze per l’accesso alle tecnologie più sensibili.
La parabola dei fratelli Al Nahyan mostra due traiettorie parallele: da un lato Tahnoon, il regista silenzioso di un Emirato che si proietta sulla scena globale attraverso tecnologia, finanza e intelligence; dall’altro Hazza, volto istituzionale che presidia i territori e costruisce consenso interno. Due anime che riflettono la doppia identità degli Emirati: laboratorio tecnologico globale e, allo stesso tempo, monarchia tradizionale che deve mantenere equilibrio tra modernizzazione e coesione sociale.
Dietro l’immagine di un Paese coeso e proiettato nel futuro, le tensioni tra Tahnoon e Hazza svelano quanto sia complesso il sistema di potere emiratino. La centralità di MbZ resta indiscussa, ma la crescente competizione tra fratelli è un indicatore da non sottovalutare. Perché nel lungo periodo la stabilità degli Emirati non dipenderà solo dalle alleanze con Washington o Pechino, né dagli investimenti miliardari nei settori high-tech, ma dalla capacità della famiglia regnante di mantenere intatta la propria unità politica.