EDITORIALE. Birmania. Aung San Suu Kyi sotto processo: la dittatura militare non molla

di C. Alessandro Mauceri

La ex leader del Myanmar e ex premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi torna a far parlare di sè. Ma non a causa delle persecuzioni dei Rohingya, peraltro mai cessate del tutto.
Salita al potere nel 2016, la San Suu Kyi ha guidato il paese grazie alla coalizione con le forze armate guidate dall’ex generale Myint Swe. Un governo ad interim in attesa che si svolgessero nuove elezioni e fosse il nuovo Parlamento a governare. Le elezioni dello scorso novembre avevano visto la netta prevalenza della Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi, sul Partito per la Solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari. Per questo a febbraio, nel giorno in cui doveva riunirsi per la prima volta il nuovo Parlamento, i militari hanno organizzato un colpo di stato. A capo dei militari il generale Min Aung Hlaing, che in seguito ha assunto anche il ruolo di capo del governo.
Da quel giorno non si era saputo più niente di Aung San Suu Kyi. Fino a maggio, quando era comparsa in tribunale accusata di numerosi crimini. Nel corso degli ultimi mesi a suo carico si sono aggiunte altre accuse, sempre più pesanti. Da quella di ave accettato un pagamento illecito di 600mila dollari e oltre 11 chilogrammi d’oro, a quella, ben più pesante, di aver violato una legge sul segreto di Stato. Fino a quella di aver usato impropriamente alcuni appezzamenti di terra di competenza della Daw Khin Kyi Foundation, un’associazione di beneficenza di cui Aung San Suu Kyi era responsabile. É stata accusata anche di una serie di reati minori, ad esempio, di aver violato le restrizioni alle importazioni facendo giungere illegalmente dei walkie-talkie, e di aver contravvenuto alla legge sulle telecomunicazioni e alle restrizioni per il corona-virus durante la campagna elettorale.
Nei giorni scorsi si è svolta l’udienza nella quale la San Suu Kyi ha presentato la propria arringa difensiva di fronte ai giudici del tribunale di Naypyidaw per due nuove accuse: di sedizione (tra gli accusati anche l’ex presidente Win Myint e altri esponenti della NLD), e di aver violato la legge sulla gestione dei disastri naturali. Se dichiarata colpevole, Aung San Suu Kyi potrebbe essere condannata a più di dieci anni di carcere.
La decisione dell’ex leader del Myanmar, nonché personaggio pubblico di livello internazionale, di difendersi da sola dimostra che quello in atto è più un gesto politico che un vero e proprio atto giudiziario.
In tutti questi mesi sono state numerose le manifestazioni di protesta sedate con la forza dalla polizia e dall’esercito. Secondo Assistance Association for Political Prisoners Burma (AAPPB), un’associazione per l’assistenza ai prigionieri politici in Myanmar, finora sarebbero stati uccisi oltre 800 manifestanti. A giugno Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato che le autorità non avevano fatto nessuno sforzo per ridurre le violenze: “In poco più di quattro mesi, il Myanmar è passato dall’essere una fragile democrazia a una catastrofe per i diritti umani. La giunta militare è la sola responsabile di questa crisi e deve risponderne”, ha detto Bachelet. Parole alle quali il ministero degli Esteri del Myanmar ha risposto dicendo che Bachelet “non aveva menzionato né condannato gli atti di sabotaggio e terrorismo commessi da associazioni illegali e da gruppi terroristici”.
Una situazione politica critica che sarebbe alla base dell’esclusione del Myanmar dai paesi invitati a partecipare al 18mo vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean), in programma il 26 Ottobre.
La manifestazione organizzata dal presidente di turno, il sultano del Brunei, si è svolta in via telematica per motivi di sicurezza. In molti hanno detto di essere dispiaciuti di non aver potuto partecipare in presenza presso la sontuosa reggia della capitale Bandar Seri Begawan, “il porto degli Dei” in lingua Jawi. dalla quale il sultano ha gestito i lavori.
Né il Brunei, né il segretario generale dell’Associazione hanno parlato dell’assenza del Mynamar o delle cause che hanno portato alla sua esclusione. A parlarne è stato il presidente Usa Joe Biden, ospite dell’evento.
La decisione dell’Asean di escludere il capo della giunta Min Aung Hlaing è stata motivata con l’incapacità del governo del Myanmar di attuare il processo di pace concordato con l’Asean in aprile. Un gesto, quello dell’Asean, assolutamente unico: questo raggruppamento, infatti, è noto per la politica di non interferenza nelle questioni di politica interna dei paesi membri. Il paese organizzatore, il Brunei, aveva dichiarato che avrebbero accettato la partecipazione di un rappresentante “non politico” del Myanmar. Proposta alla quale il governo militare ha risposto dicendo che avrebbero partecipato solo a patto che a rappresentarli potesse essere il capo di stato o il rappresentante ministeriale presente al vertice. In caso contrario il loro seggio sarebbe rimasto vuoto. E così è stato.