di Giuseppe Gagliano –
Il recente annuncio del governo egiziano riguardante l’accelerazione delle privatizzazioni e l’attrazione di investimenti rappresenta un passaggio chiave nel tentativo di rilanciare l’economia nazionale. Questo programma, che prevede la quotazione in borsa di almeno dieci società nel 2025, si inserisce in un quadro di riforme promosse dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e mira a rafforzare il ruolo del settore privato, riducendo quello dello Stato. Tuttavia, questa scelta porta con sé interrogativi rilevanti sia dal punto di vista economico che sociale.
Da un lato l’iniziativa dimostra la volontà dell’Egitto di adeguarsi alle dinamiche economiche globali. La messa in vendita di aziende strategiche, tra cui quelle legate alle Forze Armate come Watanya e Safi, segnala un’apertura che potrebbe stimolare l’interesse degli investitori stranieri. Il successo dell’offerta pubblica iniziale di United Bank, con sottoscrizioni ampiamente superiori alle aspettative, conferma il potenziale di attrattività del mercato egiziano. Inoltre, l’inclusione di settori chiave come l’energia rinnovabile, la logistica e l’industria farmaceutica evidenzia un tentativo di diversificare l’economia, riducendo la dipendenza dai settori tradizionali come il turismo e il petrolio.
Dall’altro lato le privatizzazioni pongono delle sfide non trascurabili. La cessione di asset statali, specie se strategici, potrebbe avere ripercussioni sull’ordine pubblico, alimentando tensioni tra una popolazione già provata da anni di austerità e crisi economiche. Il rischio di un aumento della disoccupazione, derivante da eventuali ristrutturazioni aziendali post-privatizzazione, si somma al timore che settori essenziali possano essere monopolizzati da attori privati, con conseguenti aumenti dei costi per i cittadini.
In questo contesto il ruolo delle Forze Armate è particolarmente emblematico. Tradizionalmente pilastro economico e sociale del Paese, il loro parziale disimpegno rappresenta un cambiamento significativo nel rapporto tra Stato, economia e cittadini. Sarà cruciale osservare come verrà gestita questa transizione, considerando che aziende come Watanya e Safi non solo generano profitti, ma rappresentano anche strumenti di controllo sociale e stabilità.
La pressione del FMI, con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico e attrarre capitali internazionali, rende le privatizzazioni una necessità più che una scelta. Tuttavia, il successo di queste riforme dipenderà dalla capacità del governo egiziano di bilanciare le esigenze economiche con quelle sociali, garantendo che i proventi vengano reinvestiti in settori critici come l’educazione, la sanità e le infrastrutture. Solo così sarà possibile evitare che le riforme economiche diventino una miccia per nuove tensioni sociali.
In definitiva il piano di privatizzazione del governo egiziano rappresenta un banco di prova per la sua capacità di modernizzare l’economia senza sacrificare la coesione sociale. La sfida non riguarda solo la capacità di attrarre investimenti, ma anche quella di dimostrare che il cambiamento può essere a vantaggio di tutti, e non solo di pochi.