Elezioni in Turchia, Slovacchia, Ucraina e Moldavia: finita l’era degli oligarchi?

di Dario Rivolta * –

Cosa hanno in comune la Slovacchia, la Turchia, la Moldavia e l’Ucraina? Hanno tutti recentemente affrontato elezioni in cui la classe dirigente che aveva steso una ragnatela di oppressione e di corruzione è stata sorprendentemente sconfitta.
Tra di loro sono molte anche le differenze, eppure in tutti quei Paesi gli elettori hanno avuto gli stessi motivi per decidere di cambiare drasticamente pagina col passato.
Cominciamo dalle differenze. La Slovacchia vive in una situazione economica relativamente soddisfacente mentre, seppur in diversa misura, gli altri tre vivono una crisi che sembra in costante peggioramento. Due sono membri della NATO (Turchia e Slovacchia), uno anche dell’Europa (la Slovacchia), Ucraina e Moldavia non fanno parte né dell’uno né dell’altra ma hanno forze politiche interne che dichiarano di aspirarvi. La Slovacchia è oramai una democrazia consolidata, la Turchia lo è stata fino a qualche anno fa e in Moldavia e Ucraina ci si accontenta di dichiararsi tali.
Ciò che li accomuna invece è un sistema di forte e inarrestabile corruzione, diffuso nepotismo, controllo governativo dei media e una conseguente stagnazione politica.

Zuzana Caputova.

In Slovacchia la capacità popolare di cacciare dal potere chi se ne era impadronito e credeva di poter continuare a farlo si era già dimostrata quando alla fine degli anni ’90 il voto spazzò via d’un sol colpo il gruppo dell’allora primo ministro Vladimir Meciar. Costui, armato di una retorica demagogica, si era costruito una rete di sodali che occupavano tutte le leve del potere e impediva di fatto ogni tipo di sviluppo sociale ed economico. In quel momento fu il desiderio degli slovacchi di entrare in Europa a dare loro il coraggio di votare in massa contro di lui. Questa volta il punto limite è stato toccato con l’assassinio del giovane giornalista Jan Kuciak e della sua fidanzata. Il Kuciak stava indagando a fondo sui legami malavitosi tra i membri del governo, compreso il primo ministro Robert Fico, e un gruppo di malfattori italiani che da tempo si erano installati a Bratislava conducendo lucrosi affari con i politici locali. La giovane Zuzana Caputova, un avvocato quarantacinquenne alla sua prima esperienza elettorale, ha vinto lo scorso 30 marzo senza lanciare slogan demagogici o generici contro la “politica”, ma attaccando espressamente la corruzione che aveva pervaso la pubblica amministrazione. Il suo slogan era: “In piedi contro il male!”.

Recep Tayyp Erdogan.

In Turchia si è trattato soltanto di elezioni amministrative ma il risultato non è stato meno significativo. Erdogan per la prima volta è stato battuto nel suo feudo elettorale, Istanbul, e ha perso anche Ankara ed altre città dell’interno. Nel suo caso il cattivo andamento dell’economia dopo anni di continua crescita l’ha sicuramente penalizzato, ma molti dei suoi precedenti elettori hanno voluto esplicitamente dissociarsi da una politica sempre più autoritaria e intransigente sotto il punto di vista religioso. Partito offrendo l’immagine di un islamismo moderato era andato chiudendo gli spazi vitali sia per i laici (che in Turchia sulle orme di Ataturk sono molti) sia per le altre religioni. La sua spietata mannaia ha colpito ogni settore della vita civile, sostituendo con parenti e seguaci tutti coloro che sospettava non fossero sostenitori del suo partito. Ha cambiato i vertici delle Forze armate, della magistratura, dei ministeri. Ha chiuso testate giornalistiche non “ubbidienti”, ridotto al silenzio o eliminato professori universitari non compiacenti e fatto approvare da un Parlamento ormai schiavizzato leggi liberticide. Tramite il figlio, il genero e imprenditori complici ha instaurato un sistema corruttivo che gli ha assicurato (e continua a farlo) un arricchimento personale da far invidia ai peggiori oligarchi ucraini. Per assicurarsi di non essere “disturbato” aveva fatto varare lo scorso anno una nuova Costituzione che dava al presidente, cioè a lui, tutti i poteri dello Stato. La partecipazione al voto di queste ultime elezioni è stata maggiore delle altre volte anche perché in molti sono andati a votare proprio per cercare di fermare il suo arrogante cammino politico.

Volodymyr Zelensky. (Foto: Facebook).

In Ucraina e in Moldavia è successa quasi la stessa cosa. Nel primo si votava per il posto di presidente, nel secondo per il Parlamento. A Kiev si è tenuto solo il primo turno e il parziale vincitore è un attore televisivo diventato famoso per aver impersonato il ruolo di un semplice ed onesto insegnante che diventava presidente contro il volere di una classe politica corrotta. Chi lo ha votato lo ha scelto anche grazie a quel ruolo che è diventato simbolo e forma di protesta contro un sistema in cui pochi oligarchi, a cominciare dal presidente Poroshenko (arrivato secondo e quindi classificato per il ballottaggio), hanno occupato direttamente o tramite loro scherani tutti i gangli vitali del Paese. A differenza di quanto successo negli altri Stati resi indipendenti dopo la dissoluzione dell’URSS, in Ucraina non ha mai potuto nascere una vera e propria classe media e più che altrove la differenza tra i ricchi e il popolino ridotto alla fame è andata continuamente crescendo. Quale sia il programma politico di Zelensky, l’attore che ha raccolto ben il 35 percento dei consensi, è poco chiaro. Lui stesso è sospettato di essere “gestito” da un certo Kolomiseky, un oligarca che aveva rotto in precedenza con Poroshenko dopo essere stato suo alleato e sostenitore di Maidan. Qualora vincesse, nessuno riesce ancora a immaginare che atteggiamento terrà in merito alla guerra civile in corso nell’est del Paese e se veramente vorrà e riuscirà a combattere la corruzione. L’unica cosa certa è che, sulle orme di Poroshenko, tra una elezione e l’altra si è fatto ricevere da Macron a Parigi.

Igor Dodon.

In Moldavia la situazione sembrerebbe un poco più chiara: chi ha perso è stato, anche lì, il partito al potere. Anche a Chisinau oligarchi ammantati di europeismo e di filo-atlantismo hanno occupato il potere continuando a perseguire i loro interessi tramite continue violazioni dello Stato di diritto e furti ai danni della collettività. Un problema comunque resta ed è la difficoltà del Partito Socialista, classificatosi primo nei consensi e guidato dal presidente Dodon, a formare una maggioranza di governo. Se tale obiettivo non si realizzerà entro poche settimane, la Costituzione prevede che si tengano nuove elezioni e i giochi potrebbero riaprirsi.

Staremo a vedere come la Caputova in Slovacchia riuscirà, se ci riuscirà, a smantellare il sistema contro cui si è espressa la popolazione. In Turchia occorrerà attendere le prossime elezioni politiche per costatare se si è trattato di un fenomeno passeggero legato al voto locale o se veramente si tratta di un punto di svolta che segna l’inizio della caduta del “califfo”. Di certo Erdogan accentuerà nel frattempo l’occupazione di media, economia e istituzioni per cercare di scoraggiare con ogni mezzo il desiderio popolare di cambiamento. Anche in Ucraina, chiunque sarà il vincitore del ballottaggio, il momento decisivo saranno le elezioni del Parlamento che si terranno nel prossimo autunno. In Moldavia infine vedremo se un governo sarà formato è da chi.
Ciò che è importante notare è che ovunque i vincitori non hanno conquistato i consensi con promesse demagogiche ma come portatori di una ribellione, oramai incontenibile, contro la corruzione e lo “Stato profondo”. Il risultato finale non è ancora sicuro e a noi non resta che continuare a monitorare le evoluzioni.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.