Erdogan a Mosca per scongiurare l’escalation, mentre l’occidente non si piega ai suoi ricatti

Dal sostegno ai terroristi all’esercito turco in Siria contro il diritto internazionale ai migranti usati come elemento di pressione: il dittatore turco ora rischia il conflitto con la Russia.

di Dario Rivolta

Oggi il presidente turco Recep Tayyp Erdogan si è recato oggi a Mosca per incontrare il collega Vladimir Putin e cercare di sminare la pericolosa situazione che si è creata in Siria attorno alla città di Idlib, non lontano dal confine turco. Va ricordato che Idlib è l’ultima importante città siriana ancora nelle mani di gruppi terroristi, alcuni dei quali come Hayat Tahrir al-Sham legati a ciò che resta di al-Qaida. Nel settembre 2018 si svolse un incontro a Sochi, in Russia, durante il quale turchi e russi sembrarono raggiungere un accordo che prevedeva l’impegno di Ankara a smilitarizzare i gruppi terroristici sostenuti dai turchi in Siria, in particolare nella zona di Idlib. La Turchia aveva avuto una parte importante nel sostenere molti dei gruppi armati che cercarono di far cadere il regime di Bashar al-Assad e il suo coinvolgimento è arrivato alla collaborazione perfino con lo stesso ISIS. Solo in un secondo momento, almeno ufficialmente, Erdogan avrebbe abbandonato lo Stato Islamico al suo destino, sempre però continuando a fornire armi e sostegno logistico ad altre bande islamiste armate attive sul territorio siriano. Proprio a costoro ha recentemente affidato il compito di attaccare i curdi nel nord est del Paese dopo il loro abbandono da parte degli americani. Le stesse milizie, sempre alimentate con armi dell’esercito del “sultano” e istruite dai suoi servizi segreti, hanno fornito gli uomini inviati in Libia per combattere contro il generale Haftar.
Nonostante gli accordi sottoscritti a Sochi la Turchia, anziché convincere i ribelli presenti a Idlib a deporre le armi, ha continuato a sostenerli e rifornirli con l’intento dichiarato di impedire a Damasco di rientrare in possesso dei propri territori in quella zona del Paese. Le truppe ufficiali siriane, dopo aver lanciato numerosi avvertimenti preventivi verso la popolazione locale, hanno cominciato ad avanzare fino a riconquistare tutti i villaggi attorno ad Idlib. Si sa che nella città si trovano ancora alcune decine di migliaia di terroristi suddivisi tra il citato Hayat Tahrir al-Sham e una decina di altri gruppuscoli, tutti islamisti e tutti supportati da Ankara. L’offensiva dell’esercito siriano, accompagnata da azioni aeree e da colpi di artiglieria, stava avendo successo e la liberazione di quell’area avrebbe potuto significare, forse, la fine di una guerra che da anni insanguina quella parte del mondo e ha fatto decine di migliaia di vittime e milioni di profughi. L’eliminazione delle ultime sacche di conflitto potrebbe anche consentire il ritorno in patria di molti tra coloro che erano fuggiti, così com’è accaduto nei territori liberati dalla presenza dell’ISIS. La sconfitta degli ultimi gruppi ribelli e la ricomposizione dell’unità territoriale siriana avrebbe però implicato la rinuncia della Turchia ad occupare quella parte di territorio siriano che Ankara giudica indispensabile per garantire la propria sicurezza strategica. Erdogan non ha gradito l’ipotesi che al-Assad potesse consolidare il suo regime riacquistando la sovranità anche vicino al confine turco e ha quindi favorito una controffensiva dei guerriglieri che sono riusciti a riprendersi alcuni dei villaggi precedentemente persi. La successiva reazione siriana non si è fatta attendere e l’aviazione di Damasco ha ripreso i bombardamenti sull’area, durante i quali ben 36 soldati dell’esercito turco sono stati uccisi. Le ultime notizie ci dicono di un drone turco abbattuto in territorio siriano e di un convoglio, sempre della stessa nazionalità, attaccato da un aereo del regime di Damasco. Cosa ci fanno i soldati dell’esercito turco in un territorio straniero? Erdogan al riguardo ha avuto l’impudenza di affermare che “Non siamo andati su invito di al-Assad (il capo di Stato di quel paese), ma su invito del popolo siriano. E finché il popolo non ci chiederà di andarcene non ce ne andremo”. Piuttosto strana questa interpretazione del diritto internazionale, oppure no? Cosa ne dicono quei Paesi che richiamano questo diritto a fasi alterne? È quale popolo gli ha chiesto di violare con il proprio esercito la sovranità di uno Stato straniero? Ufficialmente si dovrebbe trattare di una guerra civile ove da una parte c’è un legittimo governo e dall’altra dei gruppi armati tra cui alcuni definiti “terroristi” da tutta la comunità internazionale. In base a quale diritto Erdogan sta appoggiando militarmente dei terroristi?
La situazione è resa ancora più pericolosa dal fatto che al-Assad sta conducendo la sua battaglia di riconquista del Paese spalleggiato dai russi (questi sì invitati dalla locale autorità costituita), e che se si arrivasse ad uno scontro diretto tra questi ultimi e le forze turche il conflitto assumerebbe una nuova e rischiosa piega. Il “sultano” si è precipitato a dichiarare che gli aerei che hanno ucciso i suoi militari erano pilotati soltanto da aviatori siriani e che la sua “vendetta” si rivolgerà unicamente contro Damasco. Purtroppo tutti sanno che il rischio che militari russi possano direttamente essere coinvolti è reale e, nel caso che installazioni russe in loco o uomini di nazionalità russa dovessero essere colpiti, Mosca non farà finta di nulla.
È per evitare questa possibilità che Erdogan si recherà a Mosca, facendosi precedere dalla richiesta a Putin di “farsi da parte” per poter affrontare la Siria “uno contro uno”. Il “sultano” sta cercando una guerra?
Il portavoce del Ministero degli Esteri russo, Dmitry Peskov, ha definito la situazione “molto difficile” e in gioco c’è anche la recente alleanza tra Ankara e Mosca. Erdogan sta conducendo, da anni, una politica estera che lo vede sempre più slegato dagli obblighi della sua appartenenza alla NATO, tanto che è perfino arrivato a chiedere di poter entrare come osservatore nella SCO (Shanghai Cooperation Organization), un ‘organizzazione economico-militare creata da Russia e Cina e di cui fanno parte alcuni Paesi del centro Asia più India, Iran e Pakistan come osservatori. L’acquisto di un sistema antimissile russo, l’S-400, e negoziazioni con i cinesi per altri sistemi d’arma hanno provocato la reazione americana che ha cancellato un ordine in corso di missili Patriot nonché la partecipazione al programma aereo F-16.
I rapporti tra i due erano già tesi dopo il rifiuto di Washington a estradare il noto predicatore Fetullah Gulen, accusato da Erdogan di aver organizzato il colpo di Stato contro di lui. Davanti all’attuale tensione con Mosca, Ankara è tornata a richiedere a Trump la consegna dei missili Patriot adducendo la necessità di doversi difendere e ha domandato una riunione urgente della NATO in base all’art. 4 del Trattato. Nel frattempo ha invitato Francia e Germania ad intervenire in suo aiuto. Il dittatore turco vorrebbe arrivare all’incontro di Mosca potendo mettere sul tavolo la possibilità di un sostegno dell’occidente quale alternativa ai suoi recenti rapporti con la Russia, sperando così di avere in mano un’arma di pressione. È chiaro che agli USA non conviene chiudere del tutto la porta, ma è altrettanto evidente che Washington non intende essere usata come una pedina per consentire a Erdogan di meglio negoziare con Putin. Sembra che prima del viaggio a Mosca potrebbe esserci un incontro tra una delegazione americana e una turca e, in quell’occasione, gli americani cercheranno di verificare le vere intenzioni di Ankara e porranno le proprie condizioni. Intanto, mentre il ministro della Difesa USA esclude un “supporto aereo” alle azioni turche in Siria, una portaerei di Washington, la Dwight D. Eisenhower, tre cacciatorpedinieri, otto squadroni aerei e seimila marinai sono entrati nel Mediterraneo e si stanno avvicinando alla zona di crisi.
Per quanto riguarda l’Europa, il “sultano” ha richiesto formalmente un nuovo aiuto finanziario (oltre i sei miliardi di euro già versatigli) per far fronte al possibile arrivo di nuovi profughi. In realtà ciò che vorrebbe è un intervento di sostegno, magari militare, contro al-Assad, così da lanciare un ulteriore avvertimento a Putin. Tuttavia sia Macron che la Merkel hanno dimostrato di non essere sprovveduti e si sono limitati a generiche parole di “preoccupazione” per i pericolosi sviluppi della situazione. Fortemente indispettito da quello che giudica un troppo timido sostegno, Erdogan ha risposto come suo solito, usando la presenza dei profughi medio-orientali sul suo territorio come ricatto. Ha minacciato di “lasciarli partire” verso il confine europeo e, per essere più convincente, ha ritirato le guardie di confine al valico di Ederne (tra Grecia, Bulgaria e Turchia) e ha già consentito il passaggio di circa 76mila “rifugiati” annunciando che altri tre milioni saranno lasciati transitare (o probabilmente invogliati ad andarsene). In queste ore si parla di altri 130mila migranti giunti al confine.
A noi europei non resta che domandarci fino a che punto saremo disposti a subire i ricatti e l’arroganza di un dittatore senza scrupoli che si sta facendo beffe di noi e di tutti i soldi e i finanziamenti che troppo generosamente continuiamo ad elargirgli.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.