ESCLUSIVO. Strage di Susa. Il terrorista Rezgui: Notizie Geopolitiche ha sentito chi lo conosceva

di Najeh Zaghdoudi e Ghazy Eddaly –

A quattro giorni dalla strage di Susa (Sousse) il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi ha ammesso in un’intervista alla radio francese Europe 1 che il sistema di sicurezza del paese presenta ancora delle falle, nonostante siano passati tre mesi dal sanguinoso attacco al Museo del Bardo in cui persero la vita 24 turisti fra cui gli italiani Francesco Caldara, Orazio Conte, Antonella Sesino e Giuseppina Biella: “E’ vero – ha affermato Essebsi – siamo stati sorpresi da questo evento. Erano stati presi dei provvedimenti per il mese di Ramadan, ma nessuno ha pensato che queste misure dovessero essere prese sulle spiagge”. Tuttavia “Qualcosa nel sistema non ha funzionato, se ci sono stati degli errori, verranno sanzionati con azioni disciplinari”. L’attacco alle spiagge degli hotel Riu Imperial Marhaba è costato la vita a 38 persone, per lo più turisti britannici, ed è stato portato a termine dal 23enne Saifeddine Rezgui, il quale con tutta tranquillità ha aperto il fuoco con un fucile kalashnikov sui bagnanti, badando solo a colpire gli stranieri.
Da più parti viene descritto come un giovane tranquillo, un passaporto mai utilizzato, mai problemi con la giustizia, un diploma tecnico e l’amore per la musica.
Il padre ha raccontato ai media di “essere disperato, non dormo da giorni. Uno manda il figlio all’università e me lo indottrinano in questo modo. Ho perso già un figlio, a causa di un fulmine. Ora ho perso anche quest’altro, morto e anche assassino”.
A Kairouan, quarta città santa per i musulmani sunniti dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme, Rezgui frequentava una delle 135 moschee (nell’area ve ne sono poi altre 600), la “Perdono di Dio”, di medie dimensioni, ed una la frequentava a Gafour, dove risiedeva con la famiglia.
E proprio nella cittadina centrale della Tunisia, governatorato di Siliana, Notizie Geopolitiche ha voluto raccogliere testimonianze fra chi lo conosceva.
L’ambiente è quello di un centro urbano povero, con pochi servizi e immerso nel dramma della disoccupazione. Le forze dell’ordine scarseggiano, cosa che rende facile ai gruppi jihadisti e alle bande criminali il reclutamento dei giovani.
rezgui 1 fuoriDavanti alla casa dei genitori di Saifeddine vediamo lo zio, che però si rifiuta di rilasciare dichiarazioni.
Più in là vi è un gruppetto di giovani che ci dicono di essere stati suoi amici, ed uno di loro ci riferisce che “ancora non credo che lui sia un terrorista. Lo conoscevo benissimo, era una persona buona, addirittura timida, non so davvero cosa sia successo”. Il giovane, che ha preferito non rilasciare il nome, si ferma per una pausa, lasciando trasparire un filo di commozione. “Era uno sportivo – riprende – amava ballare, non posso immaginare neppure lontanamente che sia diventato un assassino. Lo vedevo sempre uscire di casa per recarsi in moschea, o al bar qui vicino, dove lavorava come cameriere”.
I vicini di casa ci spiegano di averlo hanno visto il mercoledì precedente la strage. Si chiamano Kamal e Mohamed Rezgui, hanno lo stesso cognome del terrorista, forse tornando indietro con gli anni discendenti dallo stesso ceppo famigliare. “Era un ragazzo che non aveva problemi con nessuno, forse l’unico nemico che aveva era la povertà, una realtà che spesso spinge i giovani a commettere reati o verso l’estremismo”. “Lo scorso giovedì – racconta uno di loro – l’ho visto seduto al bar, e mai avrei potuto immaginare che il giorno dopo si sarebbe recato a Susa ad uccidere più di trenta persone”. “Noi qui viviamo in dure condizioni, non c’é lavoro, non ci sono svaghi o divertimenti…cose che possono aiutare giovani a pensare in modo positivo e a spingerli ad amare la vita”, sottolinea.
“Lo conoscevo benissimo – continua – conosco la sua famiglia, il padre e la madre sono contadini. Era un ragazzo normale, come tutti gli altri, non l’ho mai sentito parlare di jihad. Tutti noi qui abbiamo pianto per la sua famiglia e per la Tunisia”.
Alla vicina moschea incontriamo l’imam Abdelkarim Ferchichi. “Quando ho visto le immagini sono rimasto colpito. Qui in moschea alla Preghiera del venerdì abbiamo più volte parlato contro il radicalismo. Abbiamo anche tenuto lezioni dove abbiamo criticato il Daesh (Isis), mettendo in guardia i giovani dal seguire gli insegnamenti di quell’organizzazione criminale”. “Abbiamo anche parlato dei molti turisti che arrivano in visita in Tunisia come di una risorsa per il paese e ci siamo detti sempre contrari ad ogni attentato verso di loro, perché l’Islam ci insegna a rispettare i nostri ospiti”.
rezgui 2 fuori“Io lo vedevo sempre qui a pregare, ma mai alle lezioni – ci racconta Saber Argoubi, imam delle preghiere – . Personalmente quando lo porteranno qui per la preghiera funebre io mi rifiuterò di pregare per lui. Se qualcun altro vorrà farlo e guidare i fedeli nella preghiera, volentieri, ma io non lo farò, perché (Rezgui) ha fatto un grandissimo sbaglio, ed il Profeta e gli antichi dottori dell’Islam
hanno avvertito di non pregare per questo genere di persone, seguaci delle eresie”.
Per i conoscenti il giovane di Gafour é una vittima, un individuo usato da gruppi terroristici che lo hanno plagiato e spinto ad uccidere a sangue freddo, a sparare contro turisti inermi sulla spiaggia e dentro un albergo, commettendo un strage sanguinosa e vergognosa che ha messo la Tunisia in difficoltà sia per una questione di sicurezza, sia per il danno economico arrecato al settore del turismo, fondamentale per il paese e per cui si prevedono per il solo 2015 perdite per 515 milioni di euro, con ricadute drammatiche ancora una volta sull’occupazione.
Intanto le indagini hanno permesso di arrestare altre 7 persone legate a una cellula terroristica che aveva a che fare con Seifeddine Rezgui, ed il ministero dell’Interno ha diffuso le foto di due individui ritenuto “pericolosi terroristi”: si tratta di Mohammed Ben Abdullah bin Muhsen al-Sharadi, studente di 24 anni di una città del nord del Paese, e Rafiq Ben Mohammed Najib Ben Ali al-Tayari, di 28 anni, di Tunisi.
Tra i sette arrestati, già interrogati dalla polizia, due sono stati bloccati a Susa, uno a Tunisi e un altro a Kasserine.
Le ultime informazioni che si possono trarre dai media sono che Rezgui avrebbe agito sotto effetto di una droga, il Captagon, che dà una sensazione di onnipotenza (Le Temps), e si sarebbe infiltrato per sei mesi in Libia assieme a un gruppo di giovani estremisti, dove i jihadisti vengono addestrati (Echorouk, citando fonti della sicurezza).

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Nelle foto:
2 – La moschea di Gafour;
3 – La casa della famiglia di Seifeddine Rezgui