Etiopia. Il fronte interno contro il riformismo

di Valentino De Bernardis

Attentato nella prima mattinata di sabato in Addis Abeba. Una esplosione a Hulluuqo kormaa (piazza Meskel) ha colpito i manifestanti riuniti a sostegno del primo ministro Abiy Ahmed, impegnato in un evento pubblico con altri esponenti del suo governo. Diverse le vittime e i feriti, con numeri ufficiali in fase di aggiornamento. Nessun membro delle istituzioni sembra essere stato coinvolto dall’attentato.
Si tratta di un evento completamente nuovo per modalità e tempistiche nella storia recente etiope. Mai un attentato aveva colpito una manifestazione pubblica del governo in carica negli ultimi venticinque anni. Al momento non è stata fatta alcuna rivendicazione da qualsivoglia gruppo terroristico. Al netto delle informazioni attualmente disponibili, quello che sembra essere certo, è il destinatario dell’attentato: la politica riformista di Abiy.
Da osservatori esterni, l’attacco subito nel cuore della capitale etiope non lascia sorpresi. La possibilità di un evento violento era atteso da molte parti, data la crescente tensione tra le numerose anime del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF), iniziate in parlamento e terminate con velate minacce di voler far saltare l’alleanza in essere. A mettere benzina sul fuoco le concessioni dell’ultimo mese, ai nemici storici dell’EPRDF, sia in politica interna che in politica estera.
Il riconoscimento delle opposizioni un tempo relegate ai margini della vita politico-sociale delle istituzioni democratiche, sommato all’ammissione di colpa del sistema repressivo messo in atto dal suo predecessore, e al cambio del vertice dell’intelligence, ha rappresentato una cesura troppo netta con il passato. Un disconoscimento difficile da digerire.
In egual misura l’apertura di credito verso Somalia ed Eritrea, concretizzatesi fino ad ora con la visita a sorpresa dello stesso Abiy a Mogadiscio lo scorso 16 giugno, e la disponibilità, tra le altre cose, a cedere ad Asmara il territorio conteso della città di Badme, ha fatto venire meno uno dei pilastri cardine della politica estera etiope degli ultimi vent’anni.
All’interno di tale perimetro, con prove al momento circostanziali data la mancanza di prese di posizioni ufficiali, sembrerebbe molto probabile che il sopracitato perno del fronte interno contrario alla politica riformista di Abiy, possa essere rappresentato da soggetti vicini al Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF).
Il TPLF è infatti il soggetto politico-etnica che ha più da perdere dal nuovo corso del governo di Addis Abeba e rischia di vedere dissolvere in brevissimo tempo il credito acquisito sul campo durante la lotta di liberazione contro il DERG e successivamente nella creazione statuale della nuova Etiopia.
Far ricadere la responsabilità politica dell’odierno attentato sul TPLF rappresenta allo stato attuale dei fatti una forzatura, ma purtroppo non si può negare che essa rappresenti una ipotesi sul tavolo. Intanto il primo ministro Abiy Ahmed ha lanciato un proclama alla televisione invitando la popolazione alla calma, e rassicurando che le indagini saranno concluse in tempo breve per assicurare i colpevoli alla giustizia.
L’augurio di Abiy è lo stesso di chi scrive, cosi come il timore che all’attentato odierno ne possano seguire altri. Continuare la politica di distensione interna e con gli stati confinanti è l’unica strada percorribile per rilanciare la stabilizzazione dell’area, e con essa il suo rilancio economico.

Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.

Twitter: @debernardisv