Etiopia. La coalizione di governo si trasforma in un partito

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Tre dei quattro partiti su base etnica che compongono la coalizione del primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed parteciperanno alle prossime elezioni del 2020 in un solo partito unificato, che prenderà il nome di Partito della prosperità.
Il premier, insignito di recente del premio Nobel per la pace, si è detto soddisfatto della scelta maturata all’interno della coalizione: “E’ un passo cruciale, che ci permettera’ di incanalare le nostre energie verso una visione condivisa”, ha scritto Abiy Ahmed su Twitter. “Il Partito della prosperità si impegnerà a rafforzare e ad applicare veramente il sistema federale che riconosce la diversita’ e il contributo di tutti gli etiopi”.
Il primo ministro ha riferito alla stampa internazionale che la decisione è stata presa all’unanimità, dato che l’unico partito della coalizione che non ha aderito al nuovo progetto, il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), ha deciso di non partecipare alla votazione sul nuovo partito.
La coalizione di governo, denominata Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), è composta da quattro partiti, in rappresentanza delle quattro maggiori comunità delle 80 che vivono in Etiopia: gli oromo, gruppo etnico di appartenenza del primo ministro, i tigrini, gli amhara e le popolazioni delle regioni del sud.
La svolta dei partiti di governo ha sollevato diverse critiche. Un dirigente del Tplf, Getachew Reda, ha denunciato alla stampa locale che “Tutto il processo è una farsa. Il primo ministro non ha seguito le procedure corrette: e’ tanto sbagliato quanto anti-democratico”.
Diversi analisti, come riportato dal sito di informazione online Africa News, descrivono il Paese come diviso tra le istanze unificatrici di Abiy Ahmed e le rivendicazioni autonomiste di molte comunita’. Lunedí due milioni e mezzo di Sidama, che vivono nel sud del Paese, sono stati chiamati a votare per un referendum sull’autodeterminazione dopo mesi di tensioni. A ottobre si sono verificati disordini tra attivisti oromo e forze di sicurezza. Negli scontri, originati dalle presunte minacce a Jawar Mohammed, giornalista e leader comunitario, avevano perso la vita almeno 86 persone.