Etiopia. Scontri al confine tra Oromia e Somali

di Valentino De Bernardis

Capire e fare previsioni sul futuro politico etiope è un rischio sempre azzardato. Un paese che per storia, forma statuale, coacervi di religioni e alleanze interazioni non ha pari nel continente africano. Tenendo ben a mente questo punto di partenza, si può provare a dare una chiave di lettura obiettiva e non allarmistica della nuova ondata di scontri etnici iniziati lo scorso 12 settembre.
A differenza dell’ondata di disordini scoppiati nel 2015-2016, di profonda matrice etnica ed antigovernativa, che arrivò a coinvolgere anche i nascenti centri industriali del paese, questa volta la matrice politica sembra essere meno accentuata, o quantomeno non ancora presente.
Le ragioni coinvolte sono quelle dell’Oromia e del Somali (eponimi dei gruppi etnici che li abitano), in cui gli scontri iniziati lo scorso 11 settembre hanno causato circa trenta morti tra le città di Deder e Aweday, e lo spostamento di massa di circa 30mila oromo tra le zone di confine verso le più sicure Harar e Babile. Numeri tutti da confermare, data la contraddizioni dei pochi dati ufficiosi trapelati, e il ritardo del governo di Addis Abeba a comunicarne di ufficiali.
Il caos non si ferma solamente ai dati numerici (non) comunicati, ma anche alle cause che hanno causato gli scontri, con versioni fortemente discordanti delle parti in causa, sui quali non si farà mai chiarezza. I rappresentanti degli oromo fanno ricadere la colpa sui sulle forze paramilitari Liyu, che già a febbraio-marzo avrebbero deportato e ucciso centinaia di persone, continuando sporadicamente fino ad oggi. Accuse sempre rispedite al mittente dal governo regionale somalo che di contro avrebbe accusato la polizia oromo di azioni violente contro popolazioni somale al confine, e di essere simpatizzanti del Fronte di Liberazione Oromo (organizzazione inserita da Addis Abeba nella lista di quelle terroristiche).
Qualsiasi sia la causa, si rimane in attesa di capire quali saranno, e se vi saranno, le ripercussioni sul governo centrale di Addis Abeba. A confrontarsi sono le due maggiori regioni dell’Etiopia, e anche per motivi diametralmente opposti le due più difficili da governare.
Il primo chiamato a dare risposte esaurienti sarà il ministro della difesa Siraj Fegessa, lo stesso che a inizio di agosto con una relazione in parlamento circa la sicurezza in Etiopia aveva proposto al parlamento l’abrogazione (poi avvenuta) dello stato di emergenza proclamato ad ottobre e rinnovato ad aprile. L’ipotesi che il governo possa tornare in cosi breve tempo sulle sue decisioni e proclamare un nuovo stato di emergenza, sarebbe un errore politico dalle conseguenze incalcolabili, perché sarebbe una dimostrazione di debolezza e non di forza; ed inoltre andrebbe seriamente ad intaccare la reputazione etiope nella comunità internazionale come regime liberticida e antidemocratico.
D’altra parte, qualora non venisse intrapresa un’azione risolutiva, sotto accusa potrebbe essere messo la forma statuale federale su base etnica dell’Etiopia, che con tutti i suoi pregi e difetti è riuscito a garantire un percorso sviluppo insperato dopo la fine del regime Derg. Sebbene sia palese che tale forma statuale non sia la migliore che si potesse adottare, ma quella più funzionale Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè per mantenere il controllo totale sul paese è lapalissiano.
Chi conosce nel profondo l’Etiopia è ben consapevole che gli scontri etnici (anche nelle loro varianti politiche, religiose ed economiche), sono la normalità nella storia millenaria del paese. Ad ondate cicliche essi tornano a farsi presente sotto diversa forma (tigrini contro oromo, oromo contro somali, ecc.), e tutti i governi che hanno tenuto in mano il timone etiope hanno cercato di porvi rimedio in una qualsiasi maniera.
Non sarà certamente il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope al potere dal 1995 a trovarvi una soluzione, ma neppure il solo sul cui far ricadere le colpe, l’importante è solamente non lasciarsi prendere dal panico.

@debernardisv
Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale
.