Giuseppe Gagliano –
L’accordo provvisorio tra Filippine e Cina per evitare scontri nel Mar Cinese Meridionale rappresenta un delicato equilibrio geopolitico in una delle aree più contese al mondo. La regione, ricca di risorse naturali e situata lungo rotte marittime cruciali, è da tempo al centro delle tensioni tra la Cina e vari paesi del sud-est asiatico, in particolare le Filippine, che rivendicano i propri diritti marittimi basati sulla loro zona economica esclusiva.
L’intesa raggiunta a luglio, che riguarda specificamente la Second Thomas Shoal, dimostra la volontà delle due nazioni di evitare un’escalation militare, ma le recenti tensioni come l’incidente aereo del 10 agosto mettono in evidenza la fragilità di tale accordo. La Cina, che ha consolidato la propria presenza nell’area attraverso la costruzione di avamposti militari e l’uso della guardia costiera, continua a essere percepita come aggressiva e coercitiva dalle Filippine e dai loro alleati, in particolare gli Stati Uniti.
La mancata trasparenza sull’accordo e le interpretazioni divergenti tra i due Paesi circa le operazioni di rifornimento del 27 luglio riflettono la complessità delle relazioni bilaterali e la continua sfida che Manila deve affrontare nel bilanciare la propria sovranità con la necessità di evitare un confronto diretto con la Cina.
Inoltre l’affermazione delle Filippine di rivedere l’accordo in futuro sottolinea il loro desiderio di mantenere una certa flessibilità diplomatica, pur riconoscendo la realtà della pressione cinese nella regione. In questo contesto il ruolo degli Stati Uniti come alleato delle Filippine e la loro influenza nella regione diventano ancora più critici.
L’approccio cinese, che combina diplomazia, pressione economica e potenza militare, continuerà a sfidare le capacità di resistenza delle Filippine e degli altri Paesi del Sud-Est asiatico. Tuttavia la situazione attuale dimostra anche che, nonostante l’asimmetria di potere, Manila non è disposta a cedere facilmente alle rivendicazioni di Pechino, cercando invece di navigare con cautela tra difesa della sovranità e pragmatismo diplomatico.