Filippine. Rodrigo Duterte eletto sindaco di Davao

Una sfida a Marcos e a L’Aia.

di Giuseppe Gagliano

Nelle Filippine, dove la politica è spesso un intreccio di lealtà familiari, vendette personali e colpi di scena, Rodrigo Duterte ha scritto un nuovo capitolo della sua leggenda. L’ex presidente, soprannominato “il Punitore” per la sua spietata guerra alla droga, è stato eletto sindaco di Davao il 12 maggio 2025 con un plebiscito di oltre 660.000 voti, schiacciando il rivale più vicino con un margine di otto a uno. Un trionfo che risuona come una provocazione, non solo perché Duterte è detenuto all’Aia, in attesa di processo alla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità, ma perché segna l’ennesima affermazione di una dinastia che sembra inarrestabile, nonostante le tempeste giudiziarie e politiche.
Un’elezione che scuote Manila
Le elezioni di medio termine del 12 maggio non erano un semplice appuntamento amministrativo. Con 18.320 cariche in palio, tra cui 12 seggi al Senato e tutti i 317 della Camera dei Rappresentanti, il voto ha ridisegnato gli equilibri di potere nelle Filippine, un arcipelago di 69 milioni di elettori che guarda al 2028, quando si deciderà il successore del presidente Ferdinand Marcos Jr. E in questo gioco di scacchi, la famiglia Duterte ha piazzato le sue pedine con precisione chirurgica.
A Davao, roccaforte storica dei Duterte, il patriarca Rodrigo ha conquistato la poltrona di sindaco, mentre il figlio minore Sebastian, sindaco uscente, è scivolato con disinvoltura nel ruolo di vicesindaco. Paolo, il figlio maggiore, ha confermato il suo seggio alla Camera, e due nipoti hanno vinto competizioni locali. Ma il colpo da maestro è al Senato: cinque candidati sostenuti dai Duterte sono in testa per i 12 seggi in palio, superando le previsioni che ne davano vincenti solo due. Un risultato che rafforza la posizione della figlia di Rodrigo, la vicepresidente Sara Duterte, alle prese con un processo di impeachment che potrebbe segnare il suo destino politico.
Sara, considerata la frontrunner per le presidenziali del 2028, si trova su un filo sospeso. A luglio, il Senato la processerà per accuse gravi: uso improprio di fondi pubblici e presunto coinvolgimento in un complotto per assassinare Marcos, sua moglie e il presidente della Camera. Una condanna la escluderebbe per sempre dalla vita pubblica, ma per essere assolta servono almeno nove voti su 24 al Senato. I cinque senatori vicini ai Duterte, insieme a possibili alleati, potrebbero garantirle la salvezza, ma come nota Jean Franco, docente di scienze politiche all’Università delle Filippine, “prove schiaccianti potrebbero cambiare tutto”. Il processo sarà un banco di prova non solo per Sara, ma per l’intero clan, che ha trasformato Davao in un feudo politico.
Il successo elettorale dei Duterte è anche un segnale di debolezza per Marcos. Il presidente, il cui indice di gradimento è sceso ad aprile 2025, fatica a contenere l’onda lunga del populismo di Duterte, che continua a incantare le masse con la sua retorica senza filtri. Marcos, erede di un’altra dinastia controversa, ha cercato di presentarsi come garante della stabilità, ma la sua decisione di consegnare Duterte alla CPI ha alienato molti elettori, che vedono nell’ex presidente un simbolo di sovranità nazionale contro ingerenze straniere. “La nostra democrazia si è rinnovata”, ha dichiarato Marcos, ma il suo ottimismo suona fragile di fronte a un’opposizione che si rafforza.
Rodrigo Duterte, 80 anni, non è un politico qualunque. Sindaco di Davao per oltre vent’anni, poi presidente dal 2016 al 2022, ha governato con il pugno di ferro, lasciando un’eredità di sangue: la sua campagna contro il narcotraffico, costata migliaia di vite, è al centro delle accuse della CPI. Arrestato il 12 marzo 2025 e trasferito all’Aia, Duterte non si è piegato. La sua candidatura a sindaco, resa possibile dalla legge filippina che consente di correre per cariche pubbliche anche sotto accusa, è stata una sfida aperta al sistema. I suoi sostenitori, che contestano la giurisdizione della CPI, lo dipingono come un martire, vittima di un complotto internazionale orchestrato da Marcos e dalle potenze occidentali.
La vittoria di Duterte pone un dilemma pratico: come può un detenuto all’Aia giurare come sindaco? Sara ha annunciato trattative con gli avvocati, ma è probabile che Sebastian assuma le funzioni di primo cittadino. Questo dettaglio, però, non sminuisce il significato politico del risultato. Duterte, anche rimane un simbolo di resistenza per milioni di filippini, che vedono in lui un leader capace di sfidare le élite di Manila e le potenze straniere.
Le elezioni del 12 maggio hanno rafforzato i Duterte, ma il futuro è tutt’altro che scritto. Il processo a Sara, le tensioni con Marcos e l’esito del giudizio alla CPI saranno decisive. Nel frattempo, le Filippine restano un laboratorio di populismo, dove le dinastie politiche continuano a dominare, e la democrazia, pur vibrante, è segnata da divisioni profonde. La vittoria di Duterte a Davao non è solo un ritorno: è un monito. In un Paese dove la politica è teatro, “il Punitore” è ancora sul palco, e il pubblico non smette di applaudire.