Francia. Bayrou appeso a un filo

di Francesco Giappichini

La sorte del governo Bayrou, e con esso la stabilità finanziaria della Francia, è appesa a un filo. Si tratta, infatti, di un esecutivo che ne succede a un altro, il gouvernement Michel Barnier, che ha fatto registrare dei record negativi per nulla irrilevanti. Non solo il governo Barnier è stato il secondo nella storia della “Quinta repubblica” – dopo il Pompidou I del 1962 – a essere stato sfiduciato da una mozione di sfiducia (motion de censure); ma si tratta del secondo più breve (se si escludono i période de transition électorale) dopo il “troisième gouvernement Pierre Messmer”: 99 contro 89 giorni. Ha fatto quindi molto discutere un sondaggio pubblicato il 27 dicembre, elaborato dall’istituto Toluna Harris interactive.
Committente, val la pena segnalarlo, il canale televisivo all news francese Lci (La Chaîne info). Ebbene, risulta che il 49% dei francesi è favorevole a una mozione di censura nei confronti del gouvernement François Bayrou. E se dopo il 14 gennaio l’Assemblée nationale dovesse approvare la suddetta mozione, quella che probabilmente sarà presentata dalle sinistre, ecco che l’attuale primo ministro François Bayrou diverrebbe «le plus éphémère», “il più effimero”, della Cinquième république. Torniamo però al sondaggio, secondo cui i più favorevoli alla caduta del governo, sono gli elettori di La France insoumise (Lfi): la formazione di sinistra, guidata dal presidente Jean-Luc Mélenchon.
E tuttavia dovrebbe preoccupare il capo dello stato Emmanuel Macron, il maggiore sponsor di questo governo, che anche il 58% dei fan del Rassemblement national (Rn) vorrebbe dare il benservito alla nuova amministrazione. E sono indicativi pure i numeri relativi non solo agli auspici, ma anche ai pronostici: emerge che il 63% del corpo elettorale, al di là dei propri desiderata, si dice convinto che il governo Bayrou sarà presto sfiduciato. Segnali preoccupanti per la stabilità politica nazionale giungono poi dagli indici di gradimento per la stessa persona di Bayrou. Questi guida anche il Mouvement démocrate (Modem): questo partito centrista fa parte dell’alleanza liberale “Ensemble pour la république (Ens)”, guidata da Macron.
Ebbene, risulta che il premier ministre godrebbe della fiducia del 32% dei francesi; che è un dato inferiore di ben 12 punti, rispetto al gradimento di cui godeva il predecessore Michel Barnier, al momento della nomina. E si tratterebbe del dato più basso, al momento dell’insediamento, tra tutti i premier nominati da Macron. Bayrou sarebbe sì gradito al 74% dei simpatizzanti del «camp présidentiel», in sostanza il cartello elettorale Ens, ma faticherebbe molto con i sostenitori della sinistra e della destra lepenista. Molti analisti però ne sono convinti: tra i motivi dello scarso appeal del governo Bayrou, vi è soprattutto la scarsa notorietà dei ministri presso l’opinione pubblica.
Il nuovo capo del governo, è questo il ragionamento, potrebbe ancora far salire gli indici di popolarità, se riuscisse a sfruttare bene le settimane che precedono la ripresa dei lavori parlamentari. L’Assemblea nazionale, infatti, riaprirà i battenti il 14 gennaio, dopo la fine della tradizionale Trêve des confiseurs (come sono chiamate le pause politiche, finanziarie o calcistiche, legate all’anno nuovo). Osservando la fiducia che riscuotono i singoli membri dell’esecutivo, mostrano numeri accettabili, cioè il 42%, il ministre de l’Intérieur Bruno Retailleau e Sébastien Lecornu, che guida il Ministère des Armées. E anche il nuovo ministre de la Justice Gérald Darmanin, vecchia conoscenza dei cronisti italiani per via del precedente incarico come ministro dell’Interno e dell’oltremare, può esser soddisfatto del suo 41%; dopodiché il nulla.
Una sfiducia generalizzata verso la compagine ministeriale, che discende tuttavia anche dall’attuale impopolarità di Macron. Giudica positivamente l’inquilino dell’Eliseo solo il 32% dell’elettorato; e il dato non solo è in calo costante da settembre, ma ha raggiunto il livello più basso da dicembre 2018, cioè dalle settimane che furono sconvolte dal Movimento dei gilet gialli. Gli umori della pubblica opinione saranno sì importanti per determinare la sopravvivenza del neo nominato governo, ma avranno un valore decisivo anche le scadenze istituzionali e le relative strategie delle formazioni politiche. Da cui si determinerà su quale base parlamentare potrà poggiare l’esecutivo Bayrou.
Innanzitutto va infatti segnalato che il governo, a partire dal 14 gennaio, avrà soltanto un mese (circa) per formulare il Projet de Loi de finances 2025, ovvero la Legge finanziaria del prossimo anno. Infatti, la «navetta parlamentare» incaricata di esaminare il bilancio, il budget 2025, dovrebbe esaurire i suoi compiti entro il 24 febbraio, dopodiché avranno inizio le «vacances hivernales de l’Assemblée». Beninteso, non sarà un lavoro tecnicamente complesso, giacché il nuovo governo potrà contare sui dossier dell’esecutivo di Barnier, che ha occupato l’Hôtel de Matignon sino al 13 dicembre. Anche se si ventila che Bercy, come i francesi chiamano il Ministère de l’Économie, des finances et de l’industrie, vorrebbe lasciare una propria impronta sul testo.
Ad esempio cercando di inserire la Surtaxe sur les grandes entreprises, con effetto retroattivo. Aprendo quindi il capitolo politico-istituzionale, va rilevato che Bayrou e i suoi 35 ministri, nominati dal premier il 23 dicembre, non si presenteranno all’Assemblea nazionale per chiedere la fiducia: una scelta obbligata non poggiando – come peraltro i precedenti tre esecutivi francesi – su una maggioranza precostituita, ma trattandosi di un «governo di minoranza». E così dopo la prima riunione del Consiglio dei ministri il 3 gennaio, l’appuntamento decisivo sarà quello del 14: innanzi all’Assemblée nationale, il premier pronuncerà la dichiarazione di politica generale «sur un sujet déterminé», quella basata sull’articolo 50 della Costituzione del 1958. Non si tratta cioè, come chiariscono i costituzionalisti francesi, della formale “Déclaration de politique générale”, che è invece prevista dall’articolo 49, e che contiene in sé la richiesta di un voto di fiducia all’Assemblea. Che in queste circostanze rappresenterebbe, né più né meno, un atto di suicidio politico. Come accennato, appare scontato che il blocco delle sinistre presenti una motion de censure. E i promotori cercheranno di sottolineare l’inadeguatezza di Bayrou, criticato sia per la lentezza nella designazione dei ministri, sia per la visita a Pau – di cui è sindaco – mentre Mayotte era devastata dall’uragano Chido. E tuttavia si prevede che l’Rn, almeno in una fase iniziale, assicuri una sorta di appoggio esterno, astenendosi dal sostenere la mozione di sfiducia promossa dalle sinistre. Lo lasciano presagire sia le parole dell’eurodeputato Jordan Bardella, secondo cui l’Rn non è interessato a «una censura automatica», sia le ultime dichiarazioni della leader Marine Le Pen, la quale ha evitato di minacciare il ricorso alla sfiducia.