di Giuseppe Gagliano –
Non tutti gli analisti internazionali condividono la valutazione negativa espressa nei confronti dell’arresto al fondatore di Telegram e soprattutto sull’assenza di legami con la Russia. È giusto da conto anche di riflessione di segno opposto.
L’arresto del fondatore di Telegram, Pavel Durov, in Francia mette in evidenza la necessità urgente di regolamentare le piattaforme di messaggistica e social media che possono essere sfruttate per operazioni ibride da parte di stati e gruppi non statali. Telegram, noto per le sue pratiche di crittografia e moderazione permissiva, è stato celebrato come un simbolo della libera comunicazione. Tuttavia, ora si trova al centro di accuse da parte delle autorità francesi di facilitare attività criminali e di essere potenzialmente sfruttato per minacce ibride, in particolare da attori statali russi.
Le minacce ibride, che combinano tattiche militari con operazioni non militari come attacchi cibernetici e disinformazione, rappresentano una sfida significativa per la sicurezza globale. Il ruolo di Telegram in tali operazioni, in particolare nel contesto delle attività sostenute dalla Russia, è diventato sempre più evidente. La piattaforma è stata utilizzata non solo per comunicazioni private legittime ma anche come strumento per la diffusione di disinformazione, propaganda e contenuti estremisti. Questa situazione è particolarmente preoccupante in zone di conflitto come l’Ucraina, dove Telegram conta milioni di utenti, inclusi funzionari governativi e leader d’opinione.
Nonostante Durov sostenga che la sua piattaforma non sia sostenuta dal Cremlino, i legami finanziari di Telegram con oligarchi russi e entità controllate dallo stato sollevano dubbi significativi. Investimenti da parte di figure come Roman Abramovich e Sergey Solonin, entrambe legate al governo russo, evidenziano il rischio che la piattaforma possa essere soggetta a influenze statali. Questo intreccio finanziario è allarmante dato il vasto raggio d’azione di Telegram in regioni soggette alle operazioni ibride russe, come l’Europa dell’Est, l’Asia Centrale e il Medio Oriente.
L’apparente tentativo del governo russo di bloccare Telegram nel 2018, seguito dalla presunta relocazione dell’app a Dubai, potrebbe essere stato una manovra strategica per mascherare il continuo utilizzo della piattaforma da parte di canali che promuovono narrazioni pro-russe, glorificano i separatisti, giustificano l’invasione dell’Ucraina e diffondono propaganda estremista. Questo stratagemma ha preservato l’illusione dell’indipendenza di Telegram, mantenendola al contempo accessibile per l’uso da parte del Cremlino, in linea con la strategia ibrida della Russia.
Per affrontare queste minacce, le democrazie devono adottare misure proattive. In primo luogo, devono imporre regolamentazioni rigorose che richiedano trasparenza nel modo in cui le piattaforme di messaggistica operano e gestiscono i dati degli utenti. Ciò include linee guida chiare su privacy, moderazione dei contenuti, archiviazione dei dati e cooperazione con le forze dell’ordine, assicurando che le piattaforme non possano essere facilmente sfruttate da attori malintenzionati.
In secondo luogo è essenziale promuovere l’uso di piattaforme di messaggistica alternative che diano priorità alla trasparenza e alla responsabilità, come Signal, che offre crittografia end-to-end e opera con un impegno verso la privacy degli utenti, senza i coinvolgimenti finanziari visti in Telegram.
Infine potenziare l’alfabetizzazione mediatica e la consapevolezza pubblica sui rischi della disinformazione è cruciale. Educare gli utenti a identificare e contrastare le campagne di disinformazione può contribuire a costruire una maggiore resilienza contro questo tipo di minacce ibride.
Le lezioni apprese dal caso Telegram e i suoi legami con gli interessi russi sottolineano l’importanza della trasparenza, della regolamentazione e della promozione di piattaforme sicure e responsabili. Le democrazie devono vigilare attentamente contro le minacce ibride multiformi e attuare misure su misura per proteggere i loro interessi di sicurezza nazionale.