di Giuseppe Gagliano –
Un caso che sta scuotendo l’opinione pubblica francese si è aperto al Tribunale di Parigi, dove Jean-Charles Brisard, noto come consulente ed esperto di terrorismo, è finito sul banco degli imputati con accuse pesanti: frode fiscale aggravata e riciclaggio di denaro. La Procura francese ha chiesto una condanna a tre anni di carcere, di cui uno da scontare effettivamente, una multa di 400mila euro e l’interdizione dalla gestione di qualsiasi società. Il verdetto è atteso per il 2 ottobre 2025, ma il processo sta già sollevando interrogativi su un personaggio che, per anni, si è costruito una reputazione come analista di sicurezza internazionale.
Jean-Charles Brisard, figura spesso invitata nei salotti televisivi e alle conferenze internazionali come esperto di terrorismo, si trova ora al centro di un’inchiesta che ne mette in discussione l’integrità. L’accusa sostiene che Brisard abbia orchestrato un sistema di frode fiscale per un valore di circa 780.000 euro, utilizzando meccanismi di riciclaggio per occultare i profitti illeciti. La Procura finanziaria nazionale, nota per il suo rigore nelle indagini sui reati economici, ha ricostruito un quadro di operazioni finanziarie opache, che avrebbero permesso a Brisard di eludere il fisco francese attraverso società di comodo e trasferimenti sospetti.
Il caso ha un sapore amaro per chi conosce il percorso di Brisard. Autore di libri e rapporti sul terrorismo globale, ha collaborato con istituzioni e media, presentandosi come un’autorità nel campo della sicurezza. La sua immagine di esperto si scontra ora con le accuse di aver manipolato il sistema fiscale a proprio vantaggio, un contrasto che alimenta il dibattito pubblico sulla credibilità di figure che si ergono a paladini di cause globali mentre, secondo l’accusa, agiscono nell’ombra per interessi personali.
L’inchiesta su Brisard si inserisce in un momento in cui la Francia sta intensificando la lotta contro i reati finanziari. La Procura finanziaria nazionale (PNF), creata nel 2013 proprio per contrastare frodi complesse e riciclaggio, ha dimostrato di non fare sconti, neanche a personaggi di spicco. Negli ultimi anni, casi simili hanno colpito nomi noti, da Gérard Depardieu, accusato di frode fiscale per aver dichiarato una residenza fittizia in Belgio, a grandi aziende come Netflix e Binance, finite nel mirino per sospetti di evasione fiscale e riciclaggio. Questo clima di rigore riflette la determinazione delle autorità francesi a colpire i “colletti bianchi” che sfruttano le pieghe del sistema per eludere le leggi.
Nel caso di Brisard, l’accusa ha dipinto un quadro di abuso sistematico: trasferimenti di denaro attraverso conti offshore, fatturazioni fittizie e strutture societarie create ad arte per mascherare i guadagni. La richiesta di una pena detentiva, seppure in parte sospesa, segnala la gravità attribuita al caso dalla Procura, che vuole mandare un messaggio chiaro: nessuno è al di sopra della legge, nemmeno chi si è costruito una carriera sotto i riflettori.
Il processo a Brisard non è solo una questione legale, ma solleva interrogativi più ampi sul mondo degli “esperti” di terrorismo. In un’epoca in cui la sicurezza globale è una priorità, figure come Brisard hanno guadagnato visibilità offrendo analisi e soluzioni a governi, media e organizzazioni internazionali. Ma quanto sono affidabili questi esperti? E come si concilia la loro autorevolezza con accuse di comportamenti illeciti? Il caso di Brisard rischia di alimentare lo scetticismo verso una categoria di professionisti che, in alcuni casi, potrebbero sfruttare la complessità del tema per costruirsi un’immagine, mentre dietro le quinte si muovono in acque torbide.
La Francia, che ha vissuto sulla propria pelle la tragedia del terrorismo – dagli attentati di Charlie Hebdo nel 2015 a quelli del Bataclan – guarda con attenzione a questo processo. L’idea che un “esperto” in materia possa essere coinvolto in attività illecite non solo mina la fiducia nelle istituzioni, ma getta un’ombra sul dibattito pubblico, già polarizzato, sulla sicurezza e sull’etica di chi la promuove.
Mentre il Tribunale di Parigi si prepara a emettere la sentenza il 2 ottobre, il caso Brisard rimane un monito. In un mondo in cui l’immagine pubblica e la realtà privata possono divergere in modo drammatico, le accuse contro l’esperto di terrorismo ricordano che la credibilità si costruisce non solo con le parole, ma con i fatti. La Procura ha chiesto una punizione esemplare, e il verdetto sarà un banco di prova per il sistema giudiziario francese, chiamato a bilanciare la necessità di giustizia con il peso mediatico di un caso che coinvolge un personaggio noto.
Nel frattempo Brisard tace, in attesa di un giudizio che potrebbe ridefinire non solo la sua carriera, ma anche la percezione pubblica di chi, come lui, si presenta come custode della sicurezza in un mondo sempre più complesso. La Francia, e non solo, osserva con attenzione.