di Giuseppe Gagliano –
La magistratura francese ha emesso un nuovo mandato d’arresto internazionale contro l’ex presidente siriano Bashar al-Assad. La notizia, riportata dall’Agence France-Presse, rappresenta un ulteriore sviluppo nel complesso intreccio giuridico che da anni tenta di fare luce sui crimini commessi durante il conflitto siriano.
Il nuovo mandato si basa sull’indagine condotta dalla Procura nazionale antiterrorismo francese (PNAT) sulla morte di Salah Abou Nabout, un cittadino franco-siriano di 59 anni, ucciso nel 2017 durante un bombardamento nel governatorato di Daraa. Secondo gli inquirenti l’attacco fu condotto dall’esercito siriano, all’epoca controllato direttamente da al-Assad. Questo elemento è stato sufficiente a far cadere l’argomentazione dell’immunità di Stato, che in passato aveva garantito all’ex presidente una protezione dai procedimenti giudiziari.
Il PNAT ha sottolineato che la morte di Nabout non è un caso isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di violazioni sistematiche dei diritti umani da parte del regime siriano. L’indagine si basa su testimonianze dirette, rapporti delle Nazioni Unite e una vasta documentazione raccolta negli anni dalle organizzazioni internazionali.
Questo mandato arriva in un momento cruciale, poiché la Corte di cassazione francese è chiamata a esprimersi, il prossimo 26 marzo, su un altro caso che coinvolge al-Assad. In quel contesto, la magistratura sta esaminando la validità del precedente mandato d’arresto, emesso in relazione al presunto utilizzo di armi chimiche da parte delle forze governative siriane. La questione chiave, ancora una volta, riguarda l’applicabilità dell’immunità per un ex capo di Stato accusato di crimini contro l’umanità.
La giustizia francese tuttavia sembra aver adottato una linea chiara: i crimini più gravi, come il genocidio e i crimini di guerra, non possono beneficiare di alcuna immunità, indipendentemente dallo status dell’accusato. Questo principio ha già portato all’emissione di ben 14 mandati di arresto contro alti funzionari del regime siriano.
L’azione giudiziaria francese pone inevitabilmente una domanda alla comunità internazionale: fino a che punto i governi sono disposti a sostenere i principi della giustizia universale, spesso ostacolati da considerazioni politiche? Il caso al-Assad, come quello di altri leader accusati di crimini contro l’umanità, evidenzia le contraddizioni di un sistema che fatica a coniugare giustizia e diplomazia.
Nonostante il conflitto siriano sia ormai fuori dai riflettori mediatici, il regime di Assad continua a detenere il potere in gran parte del Paese, sostenuto da alleati strategici come la Russia e l’Iran. Questo rende altamente improbabile un’effettiva esecuzione del mandato d’arresto. Tuttavia, il valore simbolico di tali azioni resta innegabile: esse mantengono alta l’attenzione sui crimini commessi e ribadiscono il principio per cui nessun leader può ritenersi al di sopra della legge.
Mentre la Siria tenta di ricostruirsi dalle macerie, il rischio è che le sofferenze delle sue vittime vengano dimenticate. I procedimenti giudiziari, pur essendo lunghi e spesso infruttuosi, svolgono un ruolo fondamentale nel preservare la memoria storica e nel dare voce a chi non può più parlare. La sfida, ora, è tradurre queste azioni simboliche in risultati concreti, affinché la giustizia non resti una promessa vuota.