di Giuseppe Gagliano –
Un ex presidente della Repubblica, ex ministri, intermediari senza scrupoli, valigette piene di contanti e un dittatore libico assassinato. Sembra la trama di un romanzo di spionaggio, e invece è la cronaca dell’ennesimo terremoto politico che sta travolgendo la Francia. Si è aperto oggi a Parigi il processo contro Nicolas Sarkozy e altri 12 imputati, tutti accusati di aver orchestrato un finanziamento illecito da parte del regime di Muammar Gheddafi per la campagna presidenziale del 2007.
Secondo l’accusa Sarkozy avrebbe ricevuto milioni di euro da Gheddafi per finanziare la sua corsa all’Eliseo, una pratica vietata dalla legge francese e che configura reati gravissimi come corruzione passiva, associazione a delinquere, recel di fondi pubblici e finanziamento illegale della campagna elettorale. L’ex presidente rischia fino a dieci anni di carcere, una multa di 375.000 euro, l’interdizione dai diritti civili e politici, e la confisca di tutti i beni legati al presunto crimine.
Ma Sarkozy non è solo. Al banco degli imputati siedono anche Brice Hortefeux, ex ministro e storico sodale del presidente, accusato di complicità nel finanziamento illecito, e Thierry Gaubert, collaboratore coinvolto nell’associazione a delinquere. Senza dimenticare il controverso uomo d’affari Ziad Takieddine, che in passato ha confermato di aver consegnato valigette piene di contanti a Sarkozy e ai suoi uomini per conto di Gheddafi.
L’intera vicenda ruota attorno al sistema Gheddafi, un regime che per decenni ha utilizzato la propria immensa ricchezza petrolifera per tessere relazioni con governi occidentali, spesso tramite canali informali e illeciti. Le accuse contro Sarkozy emergono in questo contesto: il leader libico avrebbe elargito milioni per garantire un alleato strategico all’Eliseo. Non si parla di spiccioli, ma di 50 milioni di euro, una cifra che fa impallidire i limiti legali delle campagne elettorali francesi, fissati a 21 milioni di euro.
Questo processo rappresenta un momento storico. Non solo perché vede per la prima volta un ex presidente francese accusato di legami finanziari con un dittatore, ma anche perché rivela il lato oscuro delle democrazie occidentali. Valigette piene di soldi, uomini di fiducia che fanno da tramite tra dittatori e politici, e un sistema che sembra sempre più orientato al potere che al servizio pubblico.
Sarkozy dal canto suo respinge ogni accusa. Parla di “persecuzione politica”, si proclama innocente e accusa gli inquirenti di aver costruito un castello di sabbia basato su testimonianze inconsistenti. Tuttavia, le evidenze accumulatesi negli anni raccontano una storia diversa: documenti, testimonianze di intermediari e transazioni sospette che puntano tutte nella stessa direzione.
Se condannato Sarkozy non solo potrebbe finire in carcere, ma vedrebbe distrutta la sua carriera politica e compromessa l’immagine della Quinta Repubblica francese. Un Paese che, ancora una volta, si trova a fare i conti con lo stretto intreccio tra politica e potere economico.
Questa vicenda non riguarda solo la Francia o Sarkozy. È un monito per tutte le democrazie occidentali, che devono vigilare affinché il potere non diventi merce di scambio. Perché se è vero che tutti i leader hanno bisogno di soldi per vincere, è altrettanto vero che ci sono limiti che non si possono oltrepassare. E quando lo si fa, non si tradisce solo la legge, ma anche la fiducia di chi crede nella democrazia.