Francia. Scontri e proteste per un immigrato ucciso dalla polizia

A fuoco auto, un liceo e un centro commerciale.

di C. Alessandro Mauceri –

Da diversi giorni la ridente e meta di molti turisti cittadina di Nantes, in Francia, è oggetto di scontri violentissimi tra manifestanti e polizia.
A scatenare le tensioni è stata la morte in circostanze ancora poco chiare di un giovane di colore, lo scorso martedì 3 luglio: la polizia, dopo aver fermato un’auto, aveva cercato di effettuare i controlli sul guidatore, Aboubakar Fofana, ricercato dal 2017 per rapina organizzata e cospirazione. Secondo una prima ricostruzione, il giovane fermato per guida senza la cintura di sicurezza aveva presentato false generalità. Per questo la polizia aveva deciso di portarlo alla centrale di polizia per accertamenti. A questo punto, stando a quanto dichiarato da alcuni testimoni, il giovane avrebbe tentato di fuggire e avrebbe assalito uno dei poliziotti scatenando la reazione di un altro poliziotto che ha aperto il fuoco. Trasportato in ospedale, il giovane è morto poche ore dopo. La versione della polizia è stata contestata da residenti del quartiere: alcuni abitanti di Breil, tra cui una donna che ha filmato la scena, hanno contestato la versione delle autorità dichiarando che “Non ha colpito nessuno, c’è solo stato uno sparo”. Secondo il pm che indaga sulla vicenda saranno l’autopsia e soprattutto le telecamere installate nella zona a chiarire la vicenda.
Dopo quanto accaduto, in città sono scoppiati disordini che sono sfociati in scontri e violenze. Molte le manifestazioni di protesta a Orvault, a Rezé e nei quartieri di Breil e Bellevue, ma a Garges-lès-Gonesse, periferia nord di Parigi. Ad oggi il bilancio è di 19 le persone fermate, di cui 11 trattenute, danni a diversi negozi e decine di auto date alle fiamme in diversi quartieri. Parte di un centro commerciale è stato incendiato da gruppi di manifestanti che hanno lanciato bombe Molotov. 
Il premier francese, Edouard Philippe, ha espresso la propria “condanna più ferma”, ma non per la morte del giovane (per la quale ha preannunciato che il governo sarà “esigente affinché sia fatta piena luce sulle circostanze”), bensì per “le violenze scoppiate a Nantes”. Anche il sindaco di Nantes, Johanna Rolland, ha dichiarato che “il ritorno all’ordine è la priorità”. Ma il suo approccio è stato diverso: “Il mio primo pensiero è con questo giovane morto, la sua famiglia, tutti gli abitanti di questo quartiere, i nostri quartieri”, ha dichiarato. Dal canto suo il ministro dell’Interno, Gerard Collomb, ha condannato la violenza, aggiungendo che “tutte le risorse necessarie” sono state mobilitate per “calmare la situazione ed evitare ulteriori incidenti”.
Quello dei giorni scorsi non è l’unico caso di violenze e accuse reciproche tra i giovani delle banlieue o i migranti e le forze dell’ordine francesi. Nel 2005, a nord di Parigi, un gruppo di ragazzini fuggì senza altro motivo alla vista la polizia: venne scatenata una caccia senza confini che, alla fine, causò la morte di due di loro fulminati dopo che si erano nascosti in una stazione dell’elettricità. Anche in quel caso all’evento seguirono disordini in molte città del paese. Più di recente, a febbraio 2018, i maltrattamenti di un giovane di colore dopo il fermo avevano portato a nuovi scontri. E sempre quest’anno alcuni agenti avevano varcato la frontiera con l’Italia senza rispettare le procedure concordate tra i due paesi per inseguire e trattare con modi estremamente duri un giovane (poi rivelatosi estraneo ai fatti) a Bardonecchia.
Un problema che si presenta da anni e tutti i governi che sono finora succeduti non sono riusciti a gestire. Ultimo ma non ultimo, a maggio la polizia ha sgomberato con la forza il più grande campo di migranti radendo al suolo con le ruspe la tendopoli in cui vivevano e portando via i circa mille migranti che vivano lì.
Comportamenti e numeri che cozzano terribilmente con le parole del presidente Macron che al vertice di Bruxelles sull’immigrazione di qualche settimana fa aveva parlato di “rispetto dei diritti dell’uomo e individuali” e di “solidarietà”. Lo aveva fatto dopo essersi vantato del fatto che la Francia è “il secondo paese per accoglienza di rifugiati quest’anno”. Peccato che i numeri siano diversi: secondo Eurostat, paesi europei con molti più rifugiati in base alla popolazione sono Malta (quasi il 2% ) o la Svezia (lo 0,97%). La Francia è molto lontana e si ferma allo 0,33%, più di paesi come il Regno Unito o l’Italia, ma molto al di sotto di paesi come Austria (0,6%), Olanda (0,4%) e Lussemburgo (0,5%).
Anche sui metodi poi ci sarebbe da discutere a lungo. Secondo quanto pubblicato da un giornale locale, solo lo scorso anno sarebbero stati circa 2000 gli agenti di polizia oggetto di provvedimenti giudiziari o punitivi per uso improprio di armi. La giustificazione è che la reazione violenta dei rappresentanti delle forze dell’ordine è direttamente proporzionale all’aumento “preoccupante” dei reati legati anche all’integrazione dei migranti nelle banlieue. Il presidente francese Emmanuel Macron ha affidato a Jean-Louis Borloo, ex ministro per il rinnovamento urbano, l’incarico di elaborare un progetto per rinnovare queste aree, dove vivono almeno 5 milioni di persone e dove il disagio sociale appare incontrollabile.
Ma la cosa più grave è che, come dimostrano gli scontri numerosi e violenti che si verificano da anni oltralpe, le politiche di integrazione adottate da tutti i governi che sono succeduti fino ad ora risultano estremamente insufficienti. E le prospettive per il futuro non appaiono rosee: a febbraio molte organizzazioni per i diritti umani, ma anche alcuni deputati che fanno parte dell’attuale maggioranza hanno criticato il disegno di legge “per un’immigrazione controllata e per un diritto di asilo effettivo” presentato dal governo, che ha ridotto sensibilmente i tempi per la presentazione delle domande di asilo. “Il governo vuole innanzitutto dissuadere i migranti dal venire in Francia», ha detto a Le Monde Serge Slama, professore di diritto pubblico all’Università di Grenoble-Alpes. Alcune organizzazioni hanno fatto notare che le espulsioni non sono aumentate ma molte persone hanno sofferto “di privazioni inutili e assurde della loro libertà” per un tempo ancora più a lungo.
Una “integrazione” che causa disagi che spesso si trasformano in scontri. E morti.