Francia. Si voterà col portafoglio?

di Francesco Giappichini

Voto legislativo francese del 30 giugno: il dibattito s’incentra sulle conseguenze di un’eventuale vittoria del partito nazionalista Rassemblement national (Rn). Ci limiteremo qui a osservare le dispute di tipo economico, che vertono sulla sostenibilità finanziaria del programma dell’estrema destra. Fermo restando che, almeno secondo le ultime ricerche dei politologi, è in costante calo la tendenza a «votare col portafoglio». Prima di osservare le proposte principali, sono però necessarie due premesse di ordine politico e giuridico. In primis va rilevato che l’esito finale dipenderà sia dalla scelta di campo che farà l’elettorato di centrodestra, sia dalle alleanze che i parlamentari neo-gollisti stringeranno prima o dopo il voto.
Tutto è così legato alla tenuta di quel Front républicain, inteso come cordone sanitario contro la formazione presieduta da Jordan Bardella. E’ però irrealistico che l’Rn possa ottenere la maggioranza assoluta, senza stringere alleanze. Va poi segnalato che pur in cohabitation, il presidente Emmanuel Macron continuerà a rappresentare la Francia, nel Consiglio europeo. Lo stesso spirito della Quinta repubblica assegna cioè al capo dello stato, e non al premier, la definizione (beninteso collegiale) dell’indirizzo politico europeo. Polonia e Portogallo, anch’esse repubbliche semipresidenziali, attribuiscono invece il seggio di Bruxelles al capo del governo.
Tanti gli interrogativi: le proposte dell’Rn sono una bomba a orologeria per le finanze, e per un rapporto deficit/Pil (Prodotto interno lordo) che già ora raggiunge il 5,3 per cento? Le pessimistiche valutazioni elaborate nel ’22 dall’Institut Montaigne sono ancora valide, come fa supporre il nervosismo sui mercati? O sono addirittura sottostimate? Tali ricette, come sostengono l’Institut e gli avversari politici, produrranno un deficit di 101 miliardi di euro l’anno, un incremento del rapporto deficit/Pil pari al 3,9%, entro il ’27? Nonché un’impennata dello spread, e del rapporto debito pubblico/Pil sino al 120 per cento?
Sarà accettata dai partner la riduzione (5 miliardi) del contributo al bilancio dell’Unione europea? Ebbene la riforma più costosa è senz’altro quella pensionistica, gravando sui bilanci per circa 30 miliardi di euro l’anno: l’età pensionabile si abbassa a 62 anni (a 60 per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18). Si prevede poi un prestito a tasso zero fino a 100mila euro, per incentivare l’acquisto della casa; mentre le famiglie under 35 possono restituirlo solo al 40%, dopo la nascita del terzo figlio. Si esentano poi le aziende dai contributi previdenziali, per gli aumenti salariali di oltre il 10%: la misura, volta a sostenere il potere d’acquisto, è però limitata agli stipendi più bassi. Altra promessa, la riduzione della Taxe sur la valeur ajoutée (Tva) su carburanti, elettricità, gas e gasolio domestico: si passa dal 20% attuale al 5,5, per la rabbia degli ambientalisti. Vanno poi citate le esenzioni dall’imposta sui redditi per gli under 30, un prestito di 500 miliardi per le Piccole e medie imprese, e la nazionalizzazione delle autostrade, per 40 miliardi. In sintesi, simili ricette appaiono del tutto incompatibili con la stabilità finanziaria: non solo francese, ma continentale, per via dell’«effetto contagio», e dell’interdipendenza dei mercati. Conclusioni a cui peraltro è giunto lo stesso Bardella, stando a una recente dichiarazione sul tema della previdenza: «Dovremo fare delle scelte […] adesso vi saranno altre priorità».