di Enrico Oliari –
Alla fine Durov ha dovuto cedere, anche perché lo stop delle autorità francesi avrebbe innescato l’effetto cascata e portato i paesi europei e forse anche gli Stati Uniti a censurare il canale Telegram. Tutto era iniziato lo scorso 25 agosto quando Pavel Durov, fondatore e proprietario del celebre social (950 milioni di utenti), veniva arrestato all’aeroporto Parigi-Le Bourget mentre scendeva dal suo jet privato, di ritorno da Baku. Cittadino russo, francese, nevisiano ed emiratino, su di lui pendeva un mandato d’arresto delle autorità francesi in quanto si era da sempre rifiutato di consegnare chat e codici della messaggistica end-to-end Telegram, che ha sede negli Emirati Arabi Uniti e che gestisce con il fratello Nikolaj, favorendo involontariamente i contatti fra organizzazioni criminali e terroristiche. Durov non aveva mai consegnato codici e chat proprio perché la riservatezza era il punto di forza di Telegram.
Nel corso del suo intervento all’Eastern Economic Forum di Vladivostok, il presidente russo Vladimir Putin ha condiviso l’idea secondo cui i paesi non possano permettersi comunicazioni non monitoratili per una questione di sicurezza, tuttavia si è chiesto il motivo per cui Durov fosse stato arrestato, mentre altri leader di piattaforme simili non affrontassero lo stesso trattamento.
Ieri sera è arrivata via Telegram la resa di Durov, “interrogato dalla polizia a Parigi per 4 giorni” nonostante “Telegram avesse un rappresentante ufficiale nell’Ue (…) il cui indirizzo email era pubblicamente disponibile per chiunque” e “le autorità francesi avessero molti modi per contattarmi e richiedere assistenza”.
Il patron di Telegram ha poi spiegato che “A volte non riusciamo a concordare con le autorità di regolamentazione nazionali il giusto equilibrio tra privacy e sicurezza, e in questi casi, siamo pronti a lasciare quel Paese. Lo abbiamo già fatto molte volte: quando la Russia ha chiesto il trasferimento delle chiavi crittografiche per la sorveglianza, abbiamo rifiutato e Telegram è stato bandito in Russia. Quando l’Iran ha chiesto di bloccare i canali dei manifestanti pacifici, noi abbiamo rifiutato e Telegram è stato bandito in Iran. Siamo pronti a lasciare i mercati incompatibili con i nostri principi, perché non lo facciamo per i soldi. Siamo spinti dall’intenzione di fare del bene e di proteggere i diritti fondamentali delle persone, soprattutto nei luoghi in cui tali diritti vengono violati”.
Durov ha poi ammesso che “Tuttavia sentiamo molte voci che affermano che ciò non è sufficiente. L’aumento degli utenti di Telegram fino a 950 milioni ha creato sfide che potrebbero rendere più facile per i criminali abusare della nostra piattaforma. Pertanto mi sono posto l’obiettivo personale di garantire miglioramenti significativi in questo senso. Abbiamo già avviato questo processo internamente e a breve forniremo maggiori dettagli sui nostri progressi.”
Alla dichiarazione di Durov è seguito un comunicato dell’azienda secondo cui “verrà iniziata la moderazione dei canali privati. La società ha aggiornato la sua politica e ha tolto l’indicazione secondo cui le chat private fossero protette dalle richieste di moderazione. Ora gli utenti possono informare i moderatori sui contenuti illegali dei gruppi privati. La società ha anche indicato l’indirizzo e-mail a cui è possibile inviare una richiesta ai moderatori per rimuovere i contenuti illeciti allegando il collegamento segnalato”.
Nel 2014 Durov si era semplicemente dimesso dal popolarissimo (in Russia) social V-Kontakte (VK), da lui fondato, per non bloccare, come richiesto dalle autorità di Mosca, la pagina di Alexei Navalny e consegnare alle autorità russe informazioni sulle identità dei dimostranti contro l’annessione della Crimea.
Durov, 39 anni, è nato a San Pietroburgo (allora Leningrado), ma è cresciuto a Tornino dove è rimasto fino all’età di 17 anni, in quanto il padre insegnava lì filologia russa. In passato ha cercato invano nell’Europa occidentale una sede per i suoi social, ma ovunque nella libertaria Unione Europea le autorità pretendevano di avere i dati riservati degli utenti dei suoi social, per cui aveva trasferito la sede di Telegram negli Emirati Arabi Uniti.
La Francia è andata oltre: lo ha arrestato per obbligarlo a cedere se stesso.