Gambia. 12 ong invocano inchiesta su esecuzione sommaria migranti

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Il 22 luglio del 2005 una sessantina di immigrati sono stati arrestati in Gambia e uccisi poi a sangue freddo dai “junglers”, una milizia paramilitare vicina all’allora presidente Yayha Jammeh. Quindici anni dopo, gli unici tre sopravvissuti al massacro invocano ancora giustizia. A ricordare la vicenda è Human Rights Watch, che insieme ad altre 11 organizzazioni per i diritti umani lancia un appello affinché’ sia avviata un’inchiesta internazionale indipendente che permetta di perseguire penalmente i responsabili.
Il gruppo di migranti era composto da 44 ghanesi, nove nigeriani, due togolesi e da vari cittadini della Costa d’Avorio e del Senegal, più un gambiano. Le forze di sicurezza, come ha ricordato Human Rights Watch, ha arrestato il gruppo a bordo di una barca, che era appena attraccata in Gambia per una tappa del viaggio per raggiungere l’Europa.
I migranti vennero però accusati di spionaggio e nei dieci giorni successivi furono uccisi dai paramilitari, che ne trasportarono alcuni oltre il confine col Senegal. Anche quei migranti furono giustiziati senza un regolare processo, ha denunciato l’ong statunitense, e “i corpi gettati in alcuni pozzi”.
“Le vittime di quel massacro da 15 anni lottano per la verità, ma hanno ottenuto solo bugie e insabbiamenti” ha denunciato all’emittente Radio France internationale (Rfi) Reed Brody, portavoce di Human Rights Watch.
Il responsabile ha aggiunto che “Le informazioni sono trapelate col contagocce e la catena degli eventi ancora non è chiara. Non conosciamo nemmeno l’identità di oltre la metà di queste vittime, perché il governo ha distrutto tutto. Ecco perché crediamo che solo un’inchiesta internazionale possa ricostruire quanto accaduto in Gambia e possa permettere il recupero dei corpi in Senegal. Ci sono almeno 20 famiglie in Africa che hanno perso i loro cari e non sanno che queste persone sono morte nelle foreste tra Gambia e Senegal, giustiziate per ordine di Yahya Jammeh”.