Gambia. Rientra nel Commonwealth

di Valentino De Bernardis –

Con un’azione diplomatica discreta e costante giovedì 8 febbraio il Gambia è stato riammesso ufficialmente all’interno del Commonwealth britannico. Il ritorno in un’istituzione intergovernativa di 53 paesi e 2,4 miliardi di persone, avrà sia effetti benefici immediati per il Gambia, ma sopratutto nel futuro prossimo per il Regno Unito, che del Commonwealth ne è l’ispiratrice e la leader.
Il percorso di adesione era stato lanciato esattamente un anno fa, nel febbraio 2017, durante la visita ufficiale a Banjul del segretario di Stato, Boris Johnson, per riallacciare i rapporti a pochi mesi dalla transizione quasi democratica del dicembre 2016, in cui Yahya Jammeh aveva dovuto lasciare dopo tredici anni la presidenza del paese a Adama Barrow.
Quella di Johnson è stata la prima volta di un Segretario di Stato inglese nel paese africano, a dimostrazione di come la questione fosse (e sia) ritenuta importante ai più alti livelli governativi. Difatti, in vista della prossima uscita dall’Unione Europea, diventa sempre più importante per Londra provare a controbilanciarne, ove possibile, gli effetti negativi. Ritagliarsi un nuovo-vecchio ruolo a livello mondiale, attraverso il rafforzamento di una silente sfera di influenza sul quello che un tempo fu l’impero.
Membro del Commonwealth dal 1965, il Gambia ne era uscito nell’ottobre 2013, a causa della malcelata propulsione all’isolazionismo autocratico di Jammeh, atteggiamento tipico dei governi autocratici giunti ormai al tramonto. Ma se il ritiro di Banjul dall’istituzione internazionale era stata opera della volontà politica del singolo, indicato come mezzo di interferenza straniera negli affari interni gambiani, diversa è la storia che ne ha caratterizzato il ritorno.
La mozione sulla riammissione, presentata il 28 dicembre 2017 dal ministro degli esteri Ousainou Darboe al parlamento, è stata promossa all’unanimità dal corpo legislativo, a dimostrazione di una vera transizione democratica, e non solo di facciata, in cui il parlamento torna ad avere un ruolo centrale. Ma quali saranno i benefici che il Gambia ne potrà trarre? Stretto tra le maglie di un’economia dipendente da un settore primario poco sviluppato, soggetto a calamità naturali, nella quasi totale assenza di infrastrutture e una povertà diffusa (tra i livelli più alti registrati nel continente), il poter accedere a piani di finanziamento e progetti di sviluppo rappresenta una boccata d’ossigeno dal punto di vista politico, economico e sociale, allontanando lo spettro di un possibile rientro di Jammeh con il supporto di frange deviate dell’esercito.
Guardando la strada tracciata dal governo di Banjul con un respiro più continentale, essa rappresenta anche un esempio positivo che altri paesi, da troppi anni relegati ai margini del concerto internazionale potranno seguire in un prossimo futuro. Un nome su tutti lo Zimbabwe. Una storia però ancora tutta da scrivere.

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