di Giuseppe Gagliano –
Nei giorni scorsi l’organizzazione Giuristi e avvocati per la Palestina (GAP) ha presentato una denuncia destinata al procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI). Il documento, pubblico e accompagnato da un modulo di sostegno popolare, accusa figure chiave del governo italiano, cioè il primo ministro Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto e l’amministratore delegato di Leonardo SpA, Roberto Cingolani, di presunta complicità in crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio commessi a Gaza.
L’iniziativa, fondata giuridicamente sull’articolo 15 dello Statuto di Roma, si inserisce nel fascicolo già aperto dalla CPI sulla situazione nei Territori palestinesi e si collega anche al procedimento avviato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dal Sudafrica e da altri Paesi che accusano Israele di genocidio. Il testo sottolinea il presunto ruolo di Stati terzi, tra cui l’Italia, accusati di avere fornito supporto materiale e logistico che avrebbe reso possibile l’offensiva israeliana avviata dopo il 7 ottobre 2023.
Secondo GAP, l’offensiva su Gaza, definita una “operazione di pulizia etnica” volta a costringere i palestinesi ad abbandonare il territorio, ha provocato oltre 60mila morti di cui fino a un terzo bambini, oltre a decine di migliaia di feriti e civili affamati o privati di assistenza umanitaria. L’organizzazione cita il rapporto del 16 settembre 2025 della Commissione internazionale d’inchiesta delle Nazioni Unite, che attribuisce a Israele la responsabilità di atti a carattere genocida ai sensi della Convenzione ONU del 1948: omicidi di massa, gravi lesioni fisiche e mentali, imposizione di condizioni di vita tali da provocare la distruzione del gruppo.
Per GAP, questi crimini non sarebbero stati possibili senza una vasta rete di complicità internazionali, a cominciare dalla prosecuzione delle vendite di armi, pezzi di ricambio e servizi tecnici da parte di diversi Paesi occidentali, tra cui l’Italia. Secondo l’organizzazione, i responsabili italiani non possono invocare immunità funzionale né ignoranza, trattandosi di fatti noti e trasmessi in diretta dai media internazionali.
La denuncia elenca numerosi elementi emersi da inchieste parlamentari, ONG e stampa:
– Fornitura di armi leggere Beretta utilizzate dai coloni israeliani in Cisgiordania.
– Esportazioni italiane successive al 7 ottobre 2023 per un valore di 4,3 milioni di euro, ammesse l’11 aprile 2024 dal governo dopo un’interrogazione parlamentare.
– Manutenzione, pezzi di ricambio e assistenza tecnica a distanza per gli aerei-scuola M-346 Master dell’aeronautica israeliana, velivoli che possono essere convertiti in versione da combattimento (M-346 FA).
– Cannoni navali 76/62 Super Rapido prodotti da Oto-Melara (Leonardo), capaci di 120 colpi al minuto e montati sulle navi israeliane che bombardano Gaza.
– Partecipazione al programma F-35 e al consorzio MBDA, che produce fra l’altro la bomba guidata GBU-39 usata nei bombardamenti a tappeto.
– Supporto tecnico tramite la filiale israeliana RADA per la trasformazione di bulldozer civili in mezzi d’assalto usati per demolire abitazioni e talvolta schiacciare civili.
– Fornitura di elicotteri AW-119 Kx e sostegno logistico alla flotta israeliana.
– Flussi aerei e logistici attraverso basi italiane di Sigonella, Niscemi (MUOS), Ancona, Bari, Brindisi, Napoli e Ciampino che avrebbero costituito un ponte aereo di oltre 6.000 voli tra ottobre 2023 e ottobre 2024, inclusi droni di sorveglianza MQ-4C Triton e missioni del United States Transportation Command dirette in Israele.
– Esportazioni di tecnologie dual-use (computer industriali, radar, IA, navigazione aerea e spaziale) per circa 34 milioni di euro, in larga parte non specificate pubblicamente.
Questi flussi dimostrerebbero, secondo GAP, che l’Italia ha mantenuto una cooperazione militare strutturale, nonostante l’aggravarsi della crisi umanitaria e gli appelli della relatrice speciale ONU Francesca Albanese, che ha parlato del passaggio da “economia dell’occupazione” a “economia del genocidio”.
Il caso pone Roma in una posizione delicata:
1. Sul piano giuridico internazionale, un eventuale esame preliminare da parte della CPI potrebbe danneggiare l’immagine di un Paese fondatore dell’UE e membro del G7, già criticato per la sospensione dei fondi all’UNRWA.
2. Sul piano economico, l’industria italiana della difesa, con Leonardo come pilastro, vale migliaia di posti di lavoro e contratti da centinaia di milioni di euro: un blocco delle forniture avrebbe costi industriali e sociali rilevanti.
3. Sul piano strategico, l’Italia è divisa fra la fedeltà all’asse euro-atlantico, il partenariato industriale con Israele e la crescente pressione dell’opinione pubblica interna ed europea, che invoca il rispetto del diritto umanitario.
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito la vicenda “surreale”, parlando di accuse “infondate”. Tuttavia l’iniziativa gode del sostegno di personalità del mondo culturale e politico tra cui Moni Ovadia, Tomaso Montanari, Alessandro Di Battista, Luigi De Magistris, Laura Morante e di quasi 6mila firmatari, segno di una frattura crescente tra società civile e governo.
Al di là del caso italiano, la denuncia solleva due questioni cruciali, cioè la coerenza dell’UE sulle esportazioni di armi: l’assenza di una politica comune sulle restrizioni ai Paesi coinvolti in conflitti mina la credibilità dell’Europa come mediatore imparziale.
L’efficacia del diritto umanitario internazionale: se la CPI decidesse di esaminare la complicità di uno Stato terzo, il precedente potrebbe avere conseguenze importanti per tutti i fornitori di armi ai protagonisti di guerre asimmetriche.
In un contesto in cui la guerra a Gaza ha accentuato la frattura nord-sud e messo a dura prova il multilateralismo, la chiamata in causa di un alleato occidentale come l’Italia rappresenta un passaggio politico e morale significativo: quello di un possibile riequilibrio tra interessi economici e obblighi giuridici internazionali.












