
di Giuseppe Gagliano –
Il database pubblicato da The New Humanitarian illumina uno dei capitoli più bui della guerra a Gaza: quasi 3mila palestinesi uccisi e quasi 20mila feriti mentre cercavano cibo, acqua o medicinali. Questi attacchi, concentrati soprattutto dopo la creazione della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) a fine maggio, non appaiono come incidenti sporadici ma come una tattica sistematica che ha accompagnato l’offensiva militare israeliana.
Il dato più allarmante è l’aumento delle vittime: prima della GHF, circa 660 morti; in poco più di tre mesi dopo l’apertura dei siti di distribuzione, quasi 2.300. Colpire i punti di raccolta degli aiuti significa esercitare controllo mortale sulla folla, scoraggiare la distribuzione di cibo e provocare sfollamenti. La fame diventa uno strumento di pressione militare e politica.
Giuristi internazionali come Adil Haque parlano apertamente di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. L’ONU e il CICR denunciano che il meccanismo della GHF viola i principi fondamentali dell’imparzialità e dell’indipendenza umanitaria. La gestione affidata a figure legate agli apparati di sicurezza israeliani e statunitensi ha alimentato il sospetto di un uso politico degli aiuti, con il rischio di delegittimare l’intero sistema di assistenza internazionale.
La strategia di Tel Aviv rischia di isolare ulteriormente il Paese: il controllo degli aiuti, anziché rafforzare la sicurezza, espone Israele ad accuse di genocidio e uso deliberato della carestia come arma. Sul piano diplomatico, la questione potrebbe diventare un detonatore nei rapporti con Washington, dove cresce la pressione del Congresso e dell’opinione pubblica per condizionare gli aiuti militari.
Il protrarsi della guerra e l’ostacolo agli aiuti aggravano la crisi economica regionale: l’Egitto teme nuovi flussi di profughi, la Giordania vede crescere la tensione sociale, mentre i costi umanitari aumentano il fabbisogno di fondi internazionali. L’uso politico degli aiuti può minare anche i corridoi logistici nel Mediterraneo orientale e rallentare i progetti di ricostruzione, scoraggiando investitori già riluttanti.
Gli attacchi ai civili in cerca di cibo non sono solo tragedie umanitarie: erodono la capacità collettiva di sopravvivenza della popolazione di Gaza, alimentano risentimento e rischiano di lasciare ferite difficili da ricomporre sul piano politico. Se la comunità internazionale non interverrà con strumenti vincolanti, il controllo sugli aiuti potrebbe diventare un precedente pericoloso in altri conflitti, dove la logistica umanitaria è già sotto pressione.











