Gaza. Il doppio binario della cooperazione militare britannica con Israele

di Giuseppe Gagliano –

Da mesi il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, ripete che “quello che Israele sta facendo a Gaza è moralmente sbagliato”. Ma a Whitehall, tra le stanze del potere, i principi non sembrano ancora essere diventati prassi. Mentre il numero di vittime palestinesi supera ogni soglia di sopportabilità umanitaria, il governo britannico continua a mantenere aperti i canali più sensibili della cooperazione con Tel Aviv: quelli militari.
Sospesi i negoziati su un nuovo accordo di libero scambio, rivista la roadmap bilaterale 2030. Ma la questione più urgente, la sospensione delle licenze di esportazione di armi, resta intoccata. Al contrario: nuovi dati mostrano che il Regno Unito è ancora profondamente coinvolto nel programma F-35, caccia di quinta generazione utilizzato da Israele per bombardare Gaza. Le aziende britanniche producono fino al 15% di ogni esemplare. Un contributo strategico che, nei fatti, colloca Londra come co-responsabile tecnico-operativa delle missioni israeliane nella Striscia.

Licenze sospese? Solo in parte.
Lo scorso anno, il Regno Unito ha sospeso circa il 10% delle licenze, in teoria quelle che avrebbero potuto implicare un uso diretto a Gaza. Ma l’esportazione di componenti, pezzi di ricambio e software continua. Non solo verso Israele, ma anche verso il pool globale F-35 gestito da Stati Uniti, Lockheed Martin e Pratt & Whitney. Un sistema senza tracciabilità reale, secondo il governo stesso, che ammette di non essere in grado di verificare dove finiscono i componenti britannici.
Nel frattempo, secondo fonti israeliane, l’aviazione ha già superato le 15.000 ore di volo e le 8.000 missioni su Gaza dal 7 ottobre 2023. In una sola giornata, quella del marzo 2024, oltre 400 palestinesi sono stati uccisi da attacchi mirati condotti con F-35. E proprio nel 2023, il Regno Unito ha autorizzato 14 volte più licenze per componenti F-35 rispetto a qualsiasi anno precedente. Un dato che smentisce in modo clamoroso le rassicurazioni pubbliche.

La difesa della “sicurezza internazionale”.
Come giustifica tutto ciò Londra? Nei documenti processuali (in gran parte secretati), il governo afferma che bloccare la cooperazione militare con Israele metterebbe a rischio “la sicurezza e la stabilità internazionale”, causando “danni irreparabili alla credibilità della NATO” e compromettendo il dominio aereo dell’Alleanza in scenari futuri. È il ritorno della vecchia logica: i principi valgono, finché non toccano gli interessi.
Ma è proprio qui che la narrativa entra in crisi: la partecipazione britannica all’assemblaggio degli F-35, forniti a un Paese accusato di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, rende Londra non più solo spettatore passivo, ma soggetto implicato in una guerra senza regole, né proporzioni.

Oltre Gaza: Cisgiordania e occupazione permanente.
La cooperazione non si limita all’offensiva su Gaza. Come denuncia l’analista Anna Stavrianakis su Middle East Eye, gli accordi militari coprono anche addestramento e forniture impiegate in Cisgiordania, dove l’occupazione militare israeliana continua in violazione del diritto internazionale. Le armi esportate dal Regno Unito potrebbero dunque essere usate anche per reprimere la popolazione civile al di fuori del contesto bellico.

Londra e il paradosso dell’impunità attiva.
Il Regno Unito si trova così intrappolato in un paradosso: riconosce il rischio che le proprie tecnologie vengano usate per commettere crimini di guerra, ma sceglie di ignorarlo in nome di superiori “interessi strategici”. E, nel farlo, rivela che il controllo delle esportazioni di armi,tanto celebrato come strumento di responsabilità democratica, è in realtà un meccanismo svuotato, dove le eccezioni contano più delle regole.
Nel momento in cui altri Paesi europei iniziano a riconsiderare i rapporti militari con Israele, Londra conferma il suo allineamento incondizionato. Eppure, dietro le parole e i dossier secretati, resta una domanda a cui nessun ministro ha ancora risposto: quante vittime civili valgono una licenza di esportazione?