Secondo notizie sui media internazionali, apparse a partire già dal marzo scorso, sarebbero scomparsi dalle banche della Striscia di Gaza 600 milioni di dollari in contanti. Ancora nessuno finora si è premurato di smentire la notizia.
Quello che si sa, e che si può anche facilmente supporre, è che molti abitanti di Gaza, per non dire tutti, abbiano ritirato i loro risparmi mediante i bancomat e gli sportelli bancari ancora funzionanti (91 sportelli automatici di 56 filiali bancarie) e che parte dei contanti sarebbe servito alle famiglie più abbienti per mettere in salvo, fuori dalla Striscia, qualcuno dei loro figli, figlie o altri parenti.
L’opera di “salvataggio umanitario” tramite l’espatrio sarebbe avvenuta grazie a un’agenzia egiziana specializzata nel turismo. Un’organizzazione particolarmente attiva nel settore dei viaggi di lusso, a cui si rivolgono molti vip del Medio Oriente per assicurarsi servizi logistici di alto livello.
L’agenzia si chiama Hala Consulting & Tourism ed è di proprietà dell’uomo d’affari egiziano Ibrahim el-Organi, il quale ha un socio in affari che si chiama Mahmoud al-Sisi. Proprio lui, ovvero il figlio del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
Per ottenere un passaggio “turistico” da Gaza all’Egitto bisogna versare almeno 5mila dollari, da pagare in contanti agli intermediari, per ogni adulto palestinese e la metà per i minori di 16 anni.
Il portale Middle East Eye riferisce che l’incasso finora conseguito da Hala Consulting & Tourism per questo ramo di attività sarebbe di 118 milioni di dollari. Questi dati sono apparsi nel mese di maggio anche in un servizio su Il Manifesto firmato dal giornalista, esperto di questioni mediorientali, Michele Giorgio.
La popolazione di Gaza, sterminata da sette mesi in un vero e proprio massacro di cui non si conosce la parola fine, né tanto meno una ipotesi di futuro per chi sopravviverà, è composta di palestinesi dei più vari livelli economici.
Se una parte dei gazawi gode di standard economici modesti, altri sono davvero poveri. Bisogna considerare però che a Gaza vi sono anche famiglie assai benestanti. Non deve stupirci allora che le famiglie abbienti abbiano potuto pagare all’agenzia Hala quanto da loro richiesto per ottenere di trasferire fuori dalla Striscia un loro figlio, figlia o parente. E magari, insieme all’espatriato, sono finiti fuori dalla Striscia anche molti soldi in contanti, da mettere al sicuro altrove.
Chi è rimasto a Gaza, volente o nolente, fa i conti invece con la carenza di liquidità e il folle aumento dei prezzi, causato dalla scarsità di alimenti, medicine e altri prodotti di prima necessità. Il cosiddetto carovita di Gaza, collegato al massacro israeliano tuttora in corso e all’economia di guerra, è solo uno degli aspetti più drammatici di questa orribile situazione.
Si ricorderà, inoltre, che le accuse di Benyamin Netanyahu contro l’Unrwa – accusata senza prove documentabili di essere collusa con Hamas – ha portato questa Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei palestinesi a non ricevere quasi più finanziamenti dai paesi donatori e, di conseguenza, a trovarsi nell’impossibilità di consegnare gli aiuti, soprattutto nel nord di Gaza, come se non fosse stata già abbastanza grave la situazione umanitaria.
Israele ha concesso solo a un limitatissimo numero di compagnie di trasporto palestinesi il privilegio di trasportare le merci a Gaza. Tali merci vengono acquistate da imprenditori e commercianti privati che operano esclusivamente dal lato egiziano in una sorta di monopolio, perché così ha deciso Israele.
Tutti i prezzi delle poche merci che riescono ad arrivare nella Striscia sono quindi lievitati a livelli astronomici. Con costi per il trasporto tanto alti, un sacco di farina o dei legumi in scatola finiscono per valere dieci volte di più del prezzo antecedente al 7 ottobre del 2023, il giorno del terrore che ha segnato il confine del male, senza pietà per nessuno.
D.B.