Gaza. Israele richiama i riservisti

di Giuseppe Gagliano

La guerra nella Striscia di Gaza entra in una nuova, inquietante fase. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno infatti avviato la mobilitazione di decine di migliaia di riservisti. Non un richiamo d’emergenza, ma parte di una strategia strutturata, approvata all’unanimità dal gabinetto di sicurezza: l’espansione dell’offensiva e la conquista del territorio.
Secondo quanto riferito dal Times of Israel, il piano del capo di stato maggiore Eyal Zamir è chiaro: occupazione progressiva della Striscia, attacchi “potenti” contro Hamas, trasferimento forzato della popolazione palestinese verso sud, e controllo degli aiuti umanitari. Una strategia militare che richiama scenari da guerra totale, con un obiettivo che appare sempre più esplicito: neutralizzare Hamas non solo militarmente, ma politicamente e territorialmente.
Il tutto mentre il conto delle vittime continua a salire. Dal crollo dell’ultimo cessate-il-fuoco, il 18 marzo, oltre 2.400 palestinesi sono morti, portando il bilancio complessivo a più di 52mila uccisi. Le famiglie degli ostaggi israeliani ancora prigionieri nella Striscia chiedono al governo un accordo con Hamas per riportarli a casa. Ma l’esecutivo Netanyahu, stretto tra esigenze di potenza e pressioni interne, punta sull’escalation.
E non è un caso che l’eventuale “fase due” dell’invasione sia stata rinviata dopo la visita di Donald Trump in Israele, attesa a metà maggio. Un segnale che la guerra non è solo questione militare, ma anche di diplomazia internazionale, relazioni strategiche e messaggi politici.
Nel frattempo, si combatte anche sul piano umanitario. Israele ha bloccato ogni ingresso di aiuti a Gaza da oltre due mesi. Il pretesto: fare pressione su Hamas. La realtà: una crisi umanitaria che rischia di trasformarsi in carestia. Il piano Usa-Israele per distribuire aiuti tramite una fondazione privata è stato respinto con fermezza dalle Nazioni Unite e dalle principali ONG internazionali. Motivo? Viola i principi umanitari fondamentali e istituzionalizza il ricatto alimentare.
Nell’ombra, si muove anche la destra radicale del governo israeliano, contraria a ogni apertura e pronta a sabotare qualunque compromesso. I ministri Ben Gvir e Strook, spalleggiati da una parte dei coloni, vedono nella crisi di Gaza non un problema da risolvere, ma un’occasione per ridisegnare la mappa del potere israeliano nei Territori.
Gaza resta così sospesa tra macerie e militarizzazione. Mentre il mondo osserva con rassegnazione, l’occupazione si trasforma da risposta contingente a strategia permanente. E l’umanità, ancora una volta, è l’unica vera assente.