Gaza. L’espulsione dei palestinesi e i doppi standard dell’occidente

di Giovanni Caruselli

La CPI (Corte Penale Internazionale) ha finalmente spiccato il mandato d’arresto contro il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant, suo ex ministro della difesa e alcuni capi di Hamas, viventi e deceduti. L’accusa è “crimini contro l’umanità e crimini di guerra” e diversamente non poteva essere, dopo l’analoga accusa rivolta a Putin per l’aggressione all’Ucraina. Nell’attacco agli israeliani del 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas hanno ucciso almeno 1.200 civili e causato più di 3mila feriti, prendendo in ostaggio circa 240 persone. La reazione israeliana nella striscia di Gaza è stata molto sanguinosa, senza alcun rispetto dei civili, costretti più volte ad abbandonare i loro insediamenti, e senza alcun riguardo per le infrastrutture che rendevano possibile la sussistenza ai palestinesi. Secondo fonti indipendenti e attendibili pubblicate dall’Onu, al 4 settembre 2024 le vittime palestinesi accertate erano 40.861 e i feriti 94.398. Molto più grave il bilancio secondo l’autorevole rivista The Lancet che calcola fino ai primi di Luglio 186.000 vittime, ovvero quasi l’8% della popolazione della striscia di Gaza, in buona parte donne e bambini. L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha più volte ricordato agli statisti che condannano a parole Israele, ma nulla fanno per fermare uccisioni e deportazioni, che le Convenzioni di Ginevra parlano chiaro. Di fronte a una palese operazione di pulizia etnica, è obbligatorio mobilitarsi per costringere lo Stato che la mette in atto a porvi fine. La diplomazia mondiale si è divisa fra coloro che ritengono vincolante il mandato della CPI e i governi che non hanno mai riconosciuto alcuna competenza giuridica della Corte sulle relazioni internazionali, come gli Usa e Israele fra gli altri. Ritorna ancora una volta l’accusa dei doppi standard che i Paesi occidentali adottano quando si tratta di colpire singole personalità di Stati amici.
Alcune questioni andrebbero chiarite. Se era noto da anni che nel sottosuolo della striscia di Gaza si costruivano centinaia di chilometri di tunnel usati per trasportare dall’Egitto a Gaza vari tipi di armi ed esplosivi, per quale motivo nessuno è intervenuto? L’Onu avrebbe fra i suoi compiti costitutivi quello di monitorare le situazioni a rischio di conflitto: quella in questione non è stata considerata tale ? Oppure qualcuno si è opposto e, se ciò è accaduto, chi e a quale scopo? Si è indagata la provenienza delle risorse che servivano a preparare manovre offensive contro Israele ? Perchè non è stata convocata una Conferenza internazionale di pace per individuare una soluzione definitiva al problema, lasciando che i giacimenti dell’odio fossero alimentati anziché estinti? E non vale la giustificazione delle origini remote della controversia, se si considera che il conflitto fra Irlanda e Gran Bretagna, pur essendo durato circa ottocento anni sembra essere stato risolto negli ultimi decenni grazie alla determinazione degli Stati che guidavano la diplomazia nelle trattative?
L’accusa della CPI ai leader israeliani è stata contestata con una motivazione che, se non si parlasse di una tragedia, sarebbe perlomeno grottesca. Una parte dell’opinione pubblica israeliana ha sostenuto che in questo modo la Corte ha messo sullo stesso piano i terroristi di Hamas e l’esercito regolare di Gerusalemme. Questa grossolana mancanza di rispetto per le vittime del conflitto, di qualunque parte esse siano, ci induce a qualche riflessione sul termine terrorismo.
Dopo la seconda guerra mondiale le popolazioni coloniali sulle quali la Gran Bretagna e la Francia pretendevano di far valere ancora la loro sovranità, organizzarono la lotta armata per il conseguimento dell’indipendenza. Ovviamente, non potendo disporre di formazioni militari propriamente dette, procedettero con atti terroristici contro le forze d’occupazione coloniali. Citiamo come esempio la ribellione del popolo algerino fra il 1954 e il 1962 che addirittura finì per generare una sorta di controterrorismo da parte dei francesi d’Algeria, i cosiddetti piedi neri, responsabili di efferatezze d’ogni sorta. Nessuno oggi avrebbe il coraggio di affermare che il terrorismo contro i colonizzatori era da condannare sotto il profilo etico: è evidente che non vi era altra strada da percorrere. In tempi molto più recenti anche l’indipendenza del Sudafrica e la fine della discriminazione razziale nel Paese furono conseguite con un’intensa attività terroristica coronata alla fine da intese pacifiche. L’elenco degli esempi di guerra terroristica è molto nutrito e non ne citeremo altri. Casomai andrebbero citati i casi in cui grandi potenze addestrano e utilizzano a fini propri grandi gruppi di terroristi. Certamente l’ormai secolare guerra guerreggiata che si combatte fra Israele e le forze arabo – palestinesi ha caratteristiche del tutto specifiche, in quanto ambedue le parti ritengono siano stati violati i propri diritti. Ma bisognerebbe anche chiedersi come mai quella che si è autobattezzata comunità internazionale non è riuscita a risolvere la controversia pur esistendo una deliberazione dell’Onu che prevedeva già dal 1946 l’istituzione di due Stati sovrani. Sicuramente il lungo periodo della guerra fredda non favorì alcuna soluzione pacifica, essendo gli Usa interessati a mantenere a tutti i costi l’alleanza con Israele contro gli Stati arabi circostanti e i palestinesi sostenuti dall’Urss. Ma la fine della Russia sovietica poteva essere sfruttata per favorire una pacificazione di tutta l’area mediorientale. E non si può dire che cogliere questo obiettivo fosse impossibile. I cosiddetti “accordi di Abramo” dell’Agosto 2020, stipulati fra Emirati Arabi Uniti, Barhein e Israele sembravano aprire la porta a una pace duratura dell’area, soprattutto quando l’Arabia Saudita sembrò disponibile a sottoscriverli. Ma l’attacco a Israele ha fatto naufragare tutto. Bisogna chiedersi chi lo ha voluto e chi non si è opposto. Se gli accordi di Abramo fossero andati a buon fine, si sarebbe prefigurato l’isolamento diplomatico e militare dell’Iran, l’unico Stato di una certa importanza dell’area che ufficialmente nega il diritto di Israele a esistere. Il programma nucleare iraniano sia pure lentamente procede verso le sue fasi finali e ciò ha un’enorme rilevanza non solo per Israele ma anche negli equilibri della regione, con particolare riferimento all’Arabia Saudita. Non è un mistero che l’Iran ha coltivato negli ultimi anni ottimi rapporti con la Russia, che sta facendo opera di penetrazione politica nel complesso dedalo mediorientale. Ma nel mondo postcoloniale la competizione fra grandi potenze la pagano i deboli, vera carne da cannone dei conflitti. Quanto ai piani di Israele dovrebbe essere ormai chiaro che l’obiettivo finale è l’espulsione della componente araba della popolazione sia nella striscia di Gaza che in Cisgiordania, dove gruppi di coloni armati operano con violenza anche al di fuori delle stesse direttrici del proprio governo. Un nuovo far west in cui troviamo gli arabi palestinesi al posto degli indiani. Raramente la coscienza morale dell’occidente è stata messa alla prova come accade in questa circostanza. Una certezza l’abbiamo: il sangue non ha mai funzionato da concime per coltivare la pace. A meno che non lo si versi tutto.