Geopolitica della guerra in Ucraina: tra ambizioni imperiali, diplomazia armata e nuovi equilibri globali

di Riccardo Renzi

La guerra in Ucraina, giunta ormai al suo terzo anno pieno dall’inizio dell’invasione russa su vasta scala del 24 febbraio 2022, continua a essere l’epicentro di una crisi geopolitica che ridefinisce gli equilibri internazionali e mette a confronto diretto visioni contrapposte di ordine globale. Le recenti dichiarazioni del presidente russo Vladimir Putin e del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, unite ai più recenti sviluppi militari e diplomatici, offrono un’istantanea potente di uno scontro che va ben oltre il campo di battaglia, coinvolgendo sistemi politici, alleanze militari, egemonie economiche e narrative storiche.
Nella recente intervista concessa nel documentario Russia. Cremlino. Putin. Venticinque anni, il leader del Cremlino ha ribadito che la Russia dispone di “abbastanza forze e mezzi per vincere in Ucraina” e che tale vittoria, auspicabilmente, non richiederà l’uso di armi nucleari. Un’affermazione che, se da un lato suona come rassicurazione, dall’altro lascia intendere che l’opzione nucleare resta comunque sul tavolo, sebbene in forma di deterrenza estrema.
La fiducia di Putin si fonda sulla narrazione di una Russia assediata ma resistente, pronta a superare la “turbulenza mondiale” grazie alle “relazioni affidabili” con la Cina. Questo asse sino-russo viene dipinto da Mosca come un pilastro di stabilità globale, contrapposto a un Occidente descritto come decadente, bellicoso e moralmente ipocrita. L’idea della “riconciliazione inevitabile” con Kiev — pur in un contesto di bombardamenti continui — completa la retorica imperiale russa: un messaggio rivolto più ai cittadini russi e agli alleati internazionali che agli ucraini.
Dal lato opposto, l’Ucraina risponde non solo con parole, ma con azioni concrete. L’abbattimento, in meno di 24 ore, di due caccia russi Sukhoi Su-30 nel Mar Nero tramite droni marittimi Magura V7, armati con missili antiaerei modificati, rappresenta un salto qualitativo nell’uso della tecnologia bellica da parte di Kiev. Come ha sottolineato il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov, si tratta di un “momento storico”, che conferma la crescente capacità ucraina di proiettare potenza difensiva anche in ambiti tradizionalmente dominati dalla superiorità russa.
Il presidente Zelensky, in visita ufficiale nella Repubblica Ceca, ha confermato la determinazione dell’Ucraina nel proseguire la guerra di resistenza e nel consolidare la propria rete di alleanze. La partnership con Praga, in particolare, è un tassello fondamentale per il rafforzamento della capacità militare ucraina: dalle munizioni di artiglieria agli F-16, fino alla formazione dei piloti. Zelensky ha definito il sostegno ceco “di principio”, segnalando l’importanza strategica delle relazioni bilaterali all’interno della più ampia coalizione occidentale.
L’annunciata visita del presidente cinese Xi Jinping in Russia (dal 7 al 10 maggio) rafforza ulteriormente l’asse strategico tra Mosca e Pechino. Si tratta di un gesto simbolico — in occasione dell’80° anniversario della Vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale — ma anche sostanziale, con colloqui previsti su questioni bilaterali, regionali e internazionali. In un mondo multipolare in formazione, la Cina sembra giocare su due tavoli: da un lato mantiene rapporti economici con l’Occidente, dall’altro sostiene — apertamente o silenziosamente — una Russia revisionista, interessata a sovvertire l’ordine liberale post-1989.
Questa visita, inoltre, si inserisce in una fase in cui la Cina ha rafforzato la propria influenza in Asia centrale, in Medio Oriente e in America Latina, presentandosi come alternativa diplomatica e commerciale all’egemonia statunitense. Le relazioni con la Russia non sono solo un partenariato energetico o militare, ma un collante ideologico per un nuovo ordine mondiale centrato su sovranità, non ingerenza e autoritarismo soft.
Le reazioni occidentali a questi sviluppi si collocano in un contesto di relativa frammentazione. Da una parte c’è il pieno sostegno NATO all’Ucraina, confermato anche dall’invito alle forze armate ucraine a partecipare alla parata del Giorno della Vittoria a Londra. Un gesto altamente simbolico che ha provocato la furiosa reazione della portavoce russa Maria Zakharova, che ha parlato di “umiliazione strategica” per i cittadini britannici, evocando una narrativa di lotta contro il neonazismo funzionale alla propaganda del Cremlino.
Dall’altra, si evidenzia una certa stanchezza dell’opinione pubblica occidentale e la crescente pressione per trovare una soluzione diplomatica, spinta soprattutto da paesi europei alle prese con crisi economiche interne e flussi migratori. Tuttavia, ogni proposta di cessate il fuoco sembra destinata a fallire finché non si risolverà la questione cruciale della sovranità ucraina e del destino dei territori occupati.
Putin afferma che la riconciliazione con Kiev è “inevitabile” e solo “questione di tempo”. Ma quale tempo? E soprattutto: a quale prezzo? La riconciliazione cui aspira Mosca passa, secondo la visione del Cremlino, per l’accettazione dello status quo ante, con un’Ucraina neutrale, demilitarizzata e parzialmente amputata. Per Kiev, invece, la riconciliazione potrà arrivare solo con il ritiro delle truppe russe e il ripristino della sovranità territoriale.
Nel mezzo, il mondo osserva. L’Ucraina è oggi la frontiera armata di un conflitto ideologico tra due modelli di civiltà: da un lato, il sistema liberale, imperfetto ma pluralista, dall’altro un blocco autoritario che propone stabilità in cambio di obbedienza. La guerra, quindi, non riguarda solo la geografia dell’Europa orientale, ma la natura stessa dell’ordine internazionale post-guerra fredda.
In questo contesto, ogni raid, ogni trattativa, ogni alleanza bilaterale o scontro simbolico (come la parata dell’8 maggio) assume un significato strategico che va ben oltre l’immediato. La guerra in Ucraina è diventata il laboratorio tragico e cruento del mondo che verrà.