Georgia. Elezioni municipali sotto tensione, tra boicottaggio e ombre geopolitiche

di Giuseppe Gagliano

Le elezioni municipali del 4 ottobre in Georgia avrebbero dovuto essere un appuntamento amministrativo ordinario: sindaci, consigli comunali, governi locali. Ma l’assenza di otto partiti di opposizione, sei dei quali avevano superato il 5% alle legislative del 2024, ha trasformato la tornata in un banco di prova per la tenuta democratica del Paese caucasico. Le accuse al partito di governo Sogno Georgiano di “minare la democrazia” e di avvicinare Tbilisi a Mosca non sono solo retorica pre-elettorale: rispecchiano il crescente scollamento tra un’opposizione frammentata, piazza e istituzioni.
Il boicottaggio non è totale. Alcune formazioni liberali e pro-UE, come Lelo-Georgia Forte e Gakharia for Georgia, hanno deciso di correre, puntando sulle urne come unico strumento di cambiamento. Il loro candidato congiunto a sindaco di Tbilisi, Irakli Kupradze, punta a mobilitare l’elettorato avvertendo che una bassa affluenza darebbe a Sogno Georgiano un “meccanismo di legittimazione” utile a rafforzare il proprio controllo.
Sul fronte opposto, gruppi civici e altri partiti pro-europei hanno scelto il boicottaggio, organizzando proteste e parlando di una “rivoluzione pacifica”. La divisione interna mina però la capacità dell’opposizione di presentarsi come alternativa coesa, confermando quella “debolezza strutturale” denunciata anche da Bruxelles.
Il primo ministro Irakli Kobakhidze, leader di Sogno Georgiano, ha respinto le accuse in un editoriale su Euronews, sostenendo che il Paese “è governato dal popolo georgiano, non da attori esterni”, rivendicando risultati economici positivi e la salvaguardia della pace in un’area ad alto rischio. Tbilisi, ha sottolineato Kobakhidze, resta impegnata nell’adesione all’Unione Europea con l’obiettivo del 2030, pur ribadendo il peso dell’occupazione russa sul 20% del territorio georgiano.
Il boicottaggio parziale rischia di ridurre la legittimità del voto e di indebolire ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, già provata da oltre 300 giorni di proteste contro la sospensione dei negoziati UE decisa da Sogno Georgiano. L’assenza di una missione di monitoraggio OSCE, dovuta all’invito tardivo di Tbilisi, priva il processo di un importante elemento di trasparenza internazionale.
Mentre il Paese si divide sul percorso europeo, il governo consolida il proprio asse commerciale con la Cina, con cui è stato appena aggiornato il libero scambio del 2018, primo FTA cinese nella regione eurasiatica e figlio della Belt and Road. L’intesa rafforza la posizione di hub logistico della Georgia tra Mar Nero e Asia centrale, ma alimenta i timori dell’opposizione circa un graduale spostamento di Tbilisi verso Est a scapito del percorso euro-atlantico.
L’esito del voto municipale non determinerà solo la distribuzione di cariche locali. Sarà il segnale della forza residua del governo dopo un anno di proteste e il termometro della fiducia internazionale verso le istituzioni georgiane. Un’alta astensione favorirebbe Sogno Georgiano e confermerebbe lo status quo, mentre un successo dell’opposizione nei grandi centri urbani, a partire da Tbilisi, potrebbe riaprire i giochi in vista delle parlamentari del 2026.
Sul piano geopolitico, la Georgia rimane pedina strategica nel Caucaso: ponte energetico e logistico tra Europa e Asia, con un territorio parzialmente occupato da Mosca e un’economia sempre più intrecciata con Pechino. La capacità di Tbilisi di conciliare le riforme richieste da Bruxelles con i legami economici asiatici e le pressioni russe sarà decisiva per il futuro del Paese e per l’equilibrio regionale.
Le elezioni municipali georgiane mostrano come la democrazia locale possa diventare terreno di scontro geopolitico e test di credibilità per i governi. Il boicottaggio, la frattura interna all’opposizione e l’ombra di Mosca e Pechino rischiano di ridurre lo spazio civico e di indebolire le istituzioni democratiche. La Georgia si trova a un bivio: trasformare le elezioni in un passo verso l’integrazione europea e il rafforzamento dello Stato di diritto, oppure scivolare in una spirale di sfiducia che la renderebbe più vulnerabile alle pressioni esterne.