Georgia. L’ombra della Russia e il futuro incerto di Tbilisi

di Giuseppe Gagliano

L’insediamento di Mikheil Kavelashvili come nuovo presidente della Georgia rappresenta non solo un evento formale, ma anche un simbolo delle tensioni geopolitiche che continuano a caratterizzare il Paese. Ex calciatore e cofondatore del partito Potere Popolare (KD), Kavelashvili è stato eletto attraverso un controverso sistema di collegio elettorale, dominato dal partito di governo Sogno Georgiano, e boicottato dall’opposizione. La presidente uscente Salome Zourabichvili e diversi osservatori internazionali, tra cui l’OSCE e il Parlamento europeo, hanno messo in discussione la legittimità del processo, denunciando frodi elettorali e il consolidamento del controllo del fondatore di Sogno Georgiano, Bidzina Ivanishvili.
La politica georgiana vive da anni una profonda frammentazione, con l’opposizione incapace di costruire un fronte comune e un governo che, dietro le quinte, sembra rispondere più agli interessi personali di Ivanishvili che a quelli della popolazione. La rottura tra Zourabichvili e Sogno Georgiano ha fatto emergere il problema centrale della democrazia georgiana: l’incapacità di garantire un sistema politico trasparente e libero dalle influenze di élite consolidate. Non è un caso che la protesta popolare si sia intensificata proprio in occasione della sospensione dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea, percepita da molti cittadini come un tradimento delle ambizioni euro-atlantiche della Georgia.
L’accusa di Kavelashvili alle agenzie di intelligence occidentali di voler trascinare la Georgia in guerra contro la Russia non è solo una dichiarazione populista. Riflette, piuttosto, una narrativa che si inserisce in una strategia politica più ampia: mantenere la Georgia in una posizione ambigua, lontana sia dall’occidente sia da un’adesione esplicita all’orbita russa. Mosca, d’altronde, non ha mai nascosto il suo interesse a mantenere la Georgia sotto il proprio controllo strategico, sfruttando divisioni interne e conflitti congelati come quello in Abkhazia e Ossezia del Sud. Il veto di Ungheria e Slovacchia a misure restrittive contro Tbilisi nel contesto dell’UE dimostra quanto il Cremlino sia abile nel sfruttare le crepe politiche in Europa per rafforzare la sua influenza.
Con un’opposizione debole e frammentata e un governo che sembra sempre più dipendente dalla figura di Ivanishvili, il futuro politico della Georgia appare incerto. La promessa di Kavelashvili di “consolidare e unificare il popolo georgiano” rischia di rimanere vuota retorica in un Paese dove le divisioni politiche, sociali ed etniche continuano ad alimentare instabilità. La sospensione dei negoziati con l’UE fino al 2028 rappresenta una sconfitta non solo per chi spera in un avvicinamento all’Occidente, ma anche per i giovani e i settori della società civile che vedono nell’Europa un’alternativa alla stagnazione politica e al clientelismo.
La Georgia si trova oggi a un bivio: rimanere ostaggio delle sue divisioni interne e delle interferenze esterne o rilanciare un percorso di riforme che restituisca al Paese la credibilità perduta. Ma questo richiede una leadership coraggiosa, capace di guardare oltre gli interessi personali e i giochi di potere. Fino ad allora, il sogno georgiano rischia di rimanere un’illusione.