Germania. Pressioni di aziende e famiglie per il ritorno al gas russo

L’Europa tra ipocrisia strategica e realismo energetico.

di Giuseppe Gagliano –

Mentre Washington rinnova le sanzioni contro Mosca, nel cuore dell’Europa industriale tornano a farsi sentire voci che invocano la ripresa, seppur parziale, delle importazioni di gas russo. Non è una notizia di secondo piano: è il segnale di un’Europa che, dopo aver proclamato l’addio definitivo al gas di Putin, si scopre ancora prigioniera delle proprie dipendenze.
La guerra ha spinto Bruxelles verso la diversificazione, l’efficienza e le rinnovabili. Ma le ambizioni verdi fanno i conti con la realtà industriale. Il GNL americano è caro e sempre più usato come leva politica. Il Qatar non è affidabile nel lungo periodo. I progressi dell’idrogeno sono troppo lenti. E così, dirigenti di colossi come Engie e TotalEnergies tornano a evocare Gazprom: meno volumi, certo, ma comunque una quota consistente, tra il 20 e il 25% del fabbisogno europeo.
A pesare sono i segnali che arrivano da regioni-chiave come la Meclemburgo-Pomerania, terminale del Nord Stream. Qui metà della popolazione, secondo un sondaggio Forsa, è favorevole a riaprire i rubinetti con la Russia. Non si tratta solo di nostalgia energetica: sono le PMI della chimica, come Leuna-Harze o il parco industriale InfraLeuna, a chiedere a gran voce il ritorno di forniture stabili e convenienti. Cinque trimestri di tagli occupazionali consecutivi non si spiegano con i principi, ma con i costi.
La Germania, primo beneficiario del gas russo pre-2022, ora si ritrova a fare i conti con la crisi della sua manifattura. E mentre Trump, tornato alla Casa Bianca, rinnova l’emergenza nazionale contro Mosca, una parte dell’establishment industriale europeo lancia un messaggio scomodo: la sicurezza energetica non può essere ostaggio né dell’ideologia né della geopolitica USA-centrica.
Il paradosso è evidente: mentre Bruxelles cerca scappatoie legali per aggirare il veto ungherese sulle sanzioni, alcuni Paesi membri ragionano già su una “pace energetica” selettiva con il Cremlino. E c’è chi, come Patrick Pouyanné, ammonisce: “Non possiamo dipendere da una o due fonti. Dobbiamo diversificare”. La lezione, ironicamente, sembra riportare proprio a Mosca.