Giappone. Eseguite tre condanne a morte

di C. Alessandro Maceri –

Ancora esecuzioni capitali in Giappone, paese “sviluppato” e rispettoso dei diritti umani (sulla carta). L’unico paese “sviluppato” (oltre agli USA) a non aver ancora abolito la pena di morte.
Nei giorni scorsi, sono state eseguite le condanne a morte di Yasutaka Fujishiro, 65 anni, Tomoaki Takanezawa, 54 anni, e Mitsunori Onogawa, 44 anni. I tre sono stati impiccati nel braccio della morte del carcere dove erano detenuti in attesa dell’esecuzione. Sono le prime esecuzioni in tre anni, l’ultima risale al 26 dicembre 2019.
Le esecuzioni sono state seguite da numerose critiche. La prima per le condizioni di detenzione dei condannati a morte: già nel 2009 un rapporto di Amnesty International aveva parlato di pene “crudeli, inumane e degradanti” alle quali venivano sottoposti in Giappone i detenuti nel braccio della morte. In quel rapporto di Amnesty International affermava che molte delle confessioni dei condannati a morte erano state estorte sotto costrizione e mentre i sospetti erano detenuti in una sorta di prigioni sostitutive (daiyo kangoku) senza nessun avvocato presente, senza registrazioni e sottoposti a pressioni al milite per estorcere le confessioni.
A novembre due detenuti in attesa di esecuzione hanno intentato una causa contro il governo giapponese sostenendo che le esecuzioni eseguite sono illegale e causano danni psicologici.
L’altro aspetto sarebbe quello legato alla modalità di esecuzione: in Giappone i condannati a morte vengono uccisi tramite impiccagione del detenuto ammanettato e bendato in piedi sopra una botola che viene aperta da un meccanismo attivato da uno dei tre pulsanti premuti contemporaneamente da tre guardie, le quali non sanno quale è attivo.
“I reati commessi sono estremamente brutali, che prendono vite preziose per ragioni egoistiche. Penso che questi siano eventi terribili non solo per le vittime che hanno perso la vita, ma anche per le famiglie in lutto”, ha detto il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa in una conferenza stampa. Seiji Kihara, vice capo segretario di gabinetto del ministro, non ha voluto commentare le critiche e ha ribadito l’importanza della pena di morte nel proprio paese: “Se mantenere o meno il sistema di condanna a morte è una questione importante che riguarda le fondamenta del sistema di giustizia penale giapponese”, ha dichiarato ai giornalisti. “Dato che crimini atroci continuano a verificarsi uno dopo l’altro, è necessario giustiziare coloro la cui colpevolezza è estremamente grave, quindi è inappropriato abolire la pena capitale”.
Secondo l’ultimo sondaggio (risalente però al 2015), la maggior parte della popolazione sarebbe favorevole alla pena di morte: l’80,3% ritiene che la pena di morte sia “ammissibile”. Ad oggi in Giappone sono almeno 100 le persone in attesa di esecuzione.
Secondo i dati di Amnesty International, nel mondo sarebbero oltre 480 le persone giustiziate nell’ultimo anno in 18 paesi. Ma questo numero potrebbe essere sottostimato dato che non include le condanne a morte che si pensa siano state effettuate in Cina, in Corea del Nord e in Vietnam.